Oggi il governo israeliano ha approvato l’accordo per il cessate il fuoco con Hamas firmato ieri sera, 16 gennaio, a Doha. In un primo tempo la riunione di governo non era prevista fino a domani sera, al termine dello Shabbat. La convocazione del gabinetto di sicurezza nella mattina di oggi e la programmazione della riunione di governo prima dell’inizio di Shabbat indicava che le resistenze e i boicottaggi da parte degli esponenti della destra nazionalista sarebbero stati risolti o tacitati. Con l’approvazione dell’accordo di Doha, il cessate il fuoco dovrebbe entrare in vigore dalle 12.15 di domenica.
Intanto è stata pubblica la lista dei 33 ostaggi che verrebbero rilasciati nella prima fase degli accordi. Secondo quanto dichiarato dall’Ufficio del Primo ministro, il rilascio potrebbe iniziare domenica, contestualmente all’inizio della tregua.
Ecco i nomi degli ostaggi che verranno rilasciati: Liri Albag, Itzhak Elgarat, Karina Ariev, Ohad Ben Ami, Ariel Bibas, Yarden Bibas, Kfir Bibas, Shiri Bibas, Agam Berger, Gonen Romi, Daniella Gilboa, Emily Damari, Sagui Dekel Chen, Iair Horn, Omer Wenkert, Alexandre Sasha Troufanov, Arbel Yehoud, Ohad Yahalomi, Eliya Cohen, Or Levy, Naama Levy, Oded Lifshitz, Gadi Moshe Mozes, Avraham (Avera) Mengisto, Shlomo Mantzur, Keith Samuel Sigal, Tsachi Idan, Ofer Kalderon, Tal Shoham, Doron Steinbrecher, Omer Shem Tov, Hisham Al-Sayed, Eli Sharabi.
Uno degli scogli da superare – e che potrebbe rallentare l’implementazione degli accordi – è la possibilità di appello da parte dei cittadini israeliani e organizzazioni politiche all’Alta Corte per il rilascio dei prigionieri palestinesi. La maggior parte dell’opinione pubblica israeliana sostiene l’accordo per il cessate il fuoco, che porterebbe nel percorso previsto alla liberazione delle 98 persone che Hamas tiene ancora in ostaggio. Ma c’è chi esprime anche preoccupazione: in cambio della liberazione degli ostaggi, Israele dovrebbe liberare oltre mille prigionieri palestinesi, molti dei quali detenuti con l’imputazione di terrorismo. Già in passato, sostengono gli scettici, Israele ha liberato ostaggi che poi sono andati nuovamente a rimpolpare le file dei combattenti di Hamas e hanno compiuto azioni terroristiche. Nell’ultima tornata di colloqui di pace israelo-palestinesi, di cui si abbia memoria, una decina di anni fa, il governo anche allora presieduto da Netanyahu rilasciò decine di prigionieri palestinesi. Ma i negoziati fallirono dopo nove mesi.
La vicenda dello scambio dei prigionieri previsto a Doha non può non richiamare alla memoria la liberazione massiccia (1.027 detenuti) ottenuta per la restituzione a Israele del soldato Gilad Shalit il 18 ottobre 2011, cinque anni dopo il suo rapimento. Tra i prigionieri palestinesi c’era anche Yahya Sinwar, divenuto il leader dell’ala militare di Hamas e, a detta di molti, l’architetto dell’attacco del 7 ottobre 2023, ucciso il 16 ottobre 2024.
I critici dell’attuale accordo, tra cui gli esponenti della destra nazionalista Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, non smettono di agitare lo spauracchio di un possibile ripetersi della storia: il prossimo Sinwar potrebbe celarsi proprio tra questi prigionieri liberati.
Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, ha giurato di far uscire il suo partito dalla coalizione di governo se l’accordo venisse approvato, citando i timori sopra esposti. Nella sua tiritera interminabile di post sui social media, tribuna preferita di tutti i leader populisti, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich si è opposto al rilascio di «terroristi di alto livello che torneranno, Dio non voglia, ad uccidere gli ebrei».