Per le siriane della diaspora «gioia e liberazione, mai più dittatori»
Nelle prime dichiarazioni delle attiviste che hanno trovato asilo in Europa il sollievo per la fine di un regime che ha violato la dignità delle donne, spesso detenute e violentate solo per aver aiutato i dissidenti.
C’è la consapevolezza dei rischi e dell’incertezza del futuro, certo. Ma prevale la gioia per la fine della cinquantennale dittatura degli al-Assad nelle prime dichiarazioni delle associazioni di attiviste siriane della diaspora, quelle che negli ultimi 13 anni hanno cercato di costruire reti per il «giorno dopo», come alcune di loro hanno chiamato uno dei progetti lanciati dal 2012 dalla Turchia per la transizione verso la democrazia. È troppo presto per capire quali tratti assumerà il nuovo regime politico in Siria, anche se il 42enne pragmatico leader delle truppe di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) Abu Muhammad al-Golani si è affrettato ad assicurare le minoranze cristiane e le donne che non ha intenzione di imporre obblighi vessatori né codici di abbigliamento islamici.
«Può darsi che non riesca a trovare le parole, ma una cosa è certa: abbiamo fatto la storia» scrive sui social la politologa e cooperatrice umanitaria Kholoud Mansour, già ricercatrice nel Centro Studi avanzati sul Medio Oriente dell’Università di Lund (Olanda) ed oggi residente in Svezia. «Solo i siriani – rimarca – possono realmente capire quanto sia complesso svelare che cosa proviamo in questi giorni: ripercorrere i nostri traumi profondi, sofferenze, perdite in ogni ambito, lottare con quel che significa vivere un’intera vita sotto l’oppressione, la paura, la sottomissione, le umiliazioni quotidiane. Ma ora vogliamo festeggiare: questo momento è nostro e ce lo siamo meritato. Non siamo ingenue, e sappiamo che la strada davanti a noi non sarà facile, lineare o priva di ostacoli. Ma il mondo deve capire che sta a noi siriani l’onere di ricostruire il nostro Paese. Abbiamo il consenso generale per costruire una Siria libera e democratica radicata nella giustizia, nei diritti, nell’assunzione di responsabilità e dignità per tutti. Non accetteremo mai di rimpiazzare un’oppressione con un’altra. Non passeremo mai dalla padella alla brace».
Di tono analogo la dichiarazione del Movimento politico delle donne siriane, nato a Parigi nell’ottobre 2017 con l’intento di tenere unite le esuli siriane nel gettare le basi di una Siria «democratica e pluralistica» e aperti i canali di dialogo con i mediatori internazionali.
Oggi il movimento conta 170 membri, 56 delle quali in Siria e il resto in 19 Paesi. In sei anni ha raggiunto più di 4mila donne con corsi di formazione politica e sui diritti. Campagne di sensibilizzazione e di partecipazione che vanno ben oltre l’agenda femminista. «Mentre si staglia davanti a noi un lungo viaggio per costruire una Siria libera, giusta, basata sulla dignità – si legge nella dichiarazione resa nota poche ore dopo la fuga di Assad –, un Paese costruito sull’uguaglianza e sulle libertà, la giornata di oggi segna un momento di trionfo e di sollievo. Una giornata per celebrare la liberazione da un regime che ci ha governati per 54 anni per mezzo dell’intimidazione, della violenza, dell’oppressione, dell’utilizzo di qualsiasi espressione di brutalità per piegare la volontà del popolo siriano. Oggi è prevalsa la volontà del popolo. I siriani rivendicano una libertà che non verrà mai più loro tolta».
Proprio una settimana fa una delegazione di sei donne del Movimento, guidate dalla direttrice Alma Salem con le segretarie generali Mariam Jalabi e Wejdan Nassif aveva incontrato a Ginevra l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, dopo l’inizio, il 27 novembre, dell’avanzata delle truppe di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) da Idlib al resto del Paese. In quell’occasione erano state ribadite le richieste delle proteste pacifiche iniziate nel 2011: libertà, democrazia, unità per il paese, unite all’ancoraggio alla Risoluzione 2254 del 2015 Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un processo politico con tutte le componenti siriane che portasse alla fine della dittatura in Siria, nella tutela dell’integrità territoriale e demografica del Paese, dei civili, degli sfollati interni e dei profughi all’estero.
«Malgrado sentimenti contrastanti – aveva dichiarato, tra le altre cose, al termine dei colloqui Roula Roukbi, una dei membri della segreteria – non possiamo non condividere la gioia per quanti stanno rientrando nelle loro case e città. Il rilascio dei detenuti segna l’inizio di un viaggio verso una Siria libera e democratica».