Le narrazioni favorevoli al conflitto con i palestinesi sono oggi il motivo principale della sua mancata soluzione, spiega lo psicologo politico israeliano Daniel Bar-Tal in un saggio appena tradotto in italiano. Senza uno sguardo lucido sulla realtà, avverte l'autore, Israele continuerà a sprofondare nel pantano del conflitto.
I conflitti nascono nella mente delle persone prima ancora che come risultati di eventi reali. Perciò, anche nel caso del conflitto israelo-palestinese, il ritorno ai negoziati non può che iniziare con la diffusione di idee che porteranno alla de-escalation, al cessate il fuoco a Gaza e alla diminuzione della violenza in Cisgiordania. Il repertorio psicologico alla base della cultura del conflitto che ha preso piede dopo il fallimento degli accordi di Oslo (del 1993), e divenuto egemonico nella società ebraica israeliana, è uno dei fili conduttori del saggio dello psicologo sociale Daniel Bar-Tal La trappola dei conflitti intrattabili. Il caso israelo-palestinese, fresco di stampa in Italia con un’edizione aggiornata ad agosto 2024 per la casa editrice Franco Angeli (dopo esser uscito nel 2023 in inglese, tedesco e polacco).
Professore emerito di Psicologia politica all’università di Tel Aviv, 78 anni, con i suoi 25 libri e 250 articoli accademici Daniel Bar-Tal è uno studioso di fama mondiale, considerato tra i massimi esperti sulle barriere socio-psicologiche alla base dei conflitti interetnici duraturi e sulle infrastrutture che promuovono l’educazione alla pace, già noto ai nostri lettori per aver tentato negli anni scorsi di coinvolgere la diaspora ebraica nell’impresa di porre fine all’occupazione dei Territori palestinesi.
Con questo saggio di 400 pagine scritto nell’arco di dieci anni, lo studioso offre anche al pubblico italiano la summa di mezzo secolo di studi e l’analisi di quello che è avvenuto negli ultimi trent’anni nella psiche collettiva della società ebraica israeliana, fino a rendere quello in corso un conflitto che nella terminologia socio-psicologica rientra tra quelli “intrattabili”. Un aggettivo, spiega l’autore, che accomuna conflitti con tratti specifici: sono feroci, incentrati su obiettivi considerati essenziali; drenano ingenti risorse umane, materiali e immateriali; continuano per almeno una generazione (25 anni); funzionano come un fattore importante dell’identità collettiva. Se quello israelo-palestinese è il prototipo, non è però l’unico: si vedano i conflitti della Russia in Cecenia e Ucraina, della Turchia con i curdi, dell’India con il Pakistan per il Kashmir, nello Sri Lanka tra tamil e cingalesi o in Ruanda tra hutu e tutsi.
Attraverso una mole enorme di ricerche e sondaggi, Bar-Tal pone idealmente lo Stato ebraico sul lettino dello psicanalista. E spiega perché le narrative favorevoli al conflitto israelo-palestinese siano diventate il principale ostacolo alla sua soluzione pacifica. «Vedere la realtà attraverso il prisma delle narrazioni costruite – argomenta il professore – mette i membri della società nelle condizioni di vivere la propria vita con la loro storia giustificante e senza avvertire il peso dei pesanti costi dei conflitti intrattabili. Il prezzo è percepito come “parte della vita”, come una necessità inevitabile, perché con lo scorrere degli anni un processo di routinizzazione ha permesso ai membri della società di abituarsi ad esso. In ogni caso non avviene alcuna discussione pubblica su quanto sia estremamente alto il prezzo da pagare, e certamente non sul fatto se sia necessario o giustificato». Oltre a presentare i loro contenuti e quali bisogni soddisfino, Bar-Tal spiega come queste narrazioni vengano diffuse, come siano penetrate nelle istituzioni sociali, come le forze politiche guadagnino consenso e investano risorse per mantenerle.
Decenni di scontri, poi, erodono la moralità dello Stato e la stessa democrazia. Israele non avrebbe potuto sostenere per oltre 57 anni la sua occupazione della Cisgiordania, rimarca, senza minare alle fondamenta alcuni dei diritti basilari dei suoi cittadini, a cominciare dalla libertà di espressione e dal diritto all’informazione. «La società occupante è diventata occupata dall’occupazione». Non è un mistero che, a causa della censura e dell’autocensura, si trovino molte più informazioni sul conflitto in inglese che in ebraico, al punto che molti israeliani ignorano la realtà sul conflitto perché non vengono esposti sui media in lingua ebraica alle cronache sui soprusi perpetrati dai coloni nei Territori, così come non vengono esposti alla devastazione di Gaza, come denuncia il quotidiano Haaretz, assai più letto all’estero che in Israele.
I rischi dell’ascesa di un regime autoritario erano già stati “scolpiti sulla pietra” nel 1967 nelle profezie del filosofo Yeshayahu Leibowitz ben prima dell’ascesa di quel «sionismo religioso improntato al fanatismo e all’ultra-nazionalismo che hanno portato gli estremisti al potere e che sono stati fra le cause della guerra a Gaza».
In questo conflitto asimmetrico e con una tale superiorità economica, militare e tecnologica, Bar-Tal mostra, dati alla mano, come negli ultimi vent’anni la società ebraica israeliana sia sprofondata in una zona di comfort nella quale lo status quo era preferibile a qualsiasi cambiamento, i cui effetti sarebbero sconosciuti. Il 7 ottobre 2023 ha spazzato via tutto questo. Ed è sotto gli occhi di tutti come la disumanizzazione e il desiderio di vendetta che si è abbattuta su Gaza negli ultimi 14 mesi, come scrive l’autore nell’accorato capitolo finale, sia speculare alla bestialità con cui i miliziani di Hamas hanno commesso atrocità disumane nei venti kibbutz attaccati nel “sabato nero” dell’ottobre 2023.
È tempo di far emergere nuovi leader, chiosa Bar-Tal, che abbiano a cuore gli interessi degli israeliani quanto gli accademici che in patria e nella diaspora fanno appello a salvare la democrazia nello Stato ebraico e a guidare la nazione fuori dal pantano di un conflitto erroneamente percepito come irrisolvibile. (m.c.)
Daniel Bar-Tal
La trappola dei conflitti intrattabili
Il caso israelo-palestinese
FrancoAngeli, 2024
pp. 400 – 34,00 euro