(g.s.) – Ora che la Siria ha voltato pagina – imboccando un cammino denso di incognite, ma, almeno per ora, con spiragli di libertà – monsignor Samir Nassar sembra volersi sgravare un peso dal cuore, in un’intervista pubblicata dal quotidiano libanese L’Orient-Le Jour lo scorso 14 dicembre.
Il presule guida l’arcieparchia maronita di Damasco dal 2006 e ammette che negli ultimi cinquant’anni, con le leve del potere controllate dagli Assad (il padre Hafez prima e il figlio Bashar, poi), «i cristiani non sono stati abbastanza coraggiosi nel dire la verità». Soprattutto in questi ultimi anni di guerra ci chiedevano, prosegue, di raccontare ai cristiani che i musulmani erano una minaccia da temere. Cosa ovviamente non vera, perché frutto di generalizzazioni. Anche i cittadini musulmani – riconosce l’arcivescovo – hanno patito, in gran numero, gli esiti del conflitto che ha infuriato nel Paese. Ora ci vorrà tempo per cambiare modo di pensare e immaginare un nuovo tipo di convivenza.
«Le persone appartenenti alla comunità cristiana avevano paura – confessa mons. Nassar in un altro passaggio della breve intervista –. Io stesso condividevo le mie idee a bassa voce, quand’ero fuori dalla Siria. Eravamo controllati 24 ore su 24. I servizi segreti, i mukhabarat erano ovunque. Passavano attraverso il cuoco, il portiere, il sacrestano… (…) Un figlio spiava la madre, la madre il padre, che a sua volta teneva d’occhio lo zio… Tutti controllavano tutti e anche molti sacerdoti erano coinvolti in questo sistema».
«Ora il Paese è in frantumi – osserva amaramente l’arcivescovo –. Milioni di giovani sono fuggiti dal servizio militare. Speriamo che tutti i siriani, di tutte le comunità, tornino nel Paese. Non dobbiamo più pensare come comunità, ma come cittadini».
Dal settarismo al rispetto di tutti i cittadini, titolari di uguali diritti e doveri. È la rotta che dovrebbe imboccare il popolo siriano verso un orizzonte di riconciliazione e rinascita. Sulle macerie di un doloroso passato.