Molti Paesi europei hanno deciso di bloccare la concessione di asilo a eventuali nuovi profughi siriani. Come se oggi la Siria fosse un Paese sicuro. Così non è, e lo sappiamo tutti bene, per una serie di ragioni.
Germania, Francia, Italia, Austria, Norvegia, Svezia, Regno Unito, Grecia, Finlandia, Belgio, Svizzera. Sono i Paesi europei che, al momento in cui scriviamo, hanno sospeso l’esame delle domande d’asilo dei rifugiati siriani. Ognuno decidendo per sé. I membri dell’Unione europea non hanno tenuto conto della dichiarazione in senso contrario rilasciata dal nuovo Alto commissario comunitario per la politica estera e di difesa, la signora Kaja Kallas: «Oggi siamo al fianco di tutti i siriani, nel Paese e nella diaspora, che sono pieni di speranza ma anche di coloro che temono un futuro incerto».
A parte l’ennesima dimostrazione del fatto che, al momento di decidere sulle questioni cruciali, la centralità della Ue si dissolve come neve al sole, resta il fatto che questa è una delle decisioni più ciniche e vergognose che, di fronte al crollo del regime degli Assad, si potesse prendere. Soprattutto con quella velocità.
È vero che in Siria è finita una dittatura. È vero che il tagliagole Al-Golani (o Jolani o Julani, le grafie diverse si sprecano), dopo esseri rifatto il look, già affascina la malleabile stampa occidentale. Ed è anche vero che il nuovo regime ha fatto dichiarazioni aperturiste e concilianti, anche nei confronti della minoranza cristiana. Ma questo ha poco o nulla a che fare con la decisione dei Paesi di cui sopra.
Intanto, in attesa di sviluppi che tutti ci auguriamo positivi, la Siria oggi è tutt’altro che un Paese sicuro. Primo: basterebbero i combattimenti tra curdi e jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) nel nord-est e i bombardamenti israeliani, con relativa occupazione di territorio oltre le Alture del Golan, a dimostrarlo. Scondo: quali certezze abbiamo sui comportamenti futuri di quello che oggi pare l’elemento dominante della nuova situazione, cioè proprio Hts? Siamo davvero così sicuri che, fuggito Assad a Mosca, per la Siria stia arrivando una stagione di democrazia e diritti per tutti? Non si poteva aspettare almeno un poco? Perché il messaggio che stiamo lanciando ai rifugiati siriani (e ai siriani che potrebbero pensare di chieder rifugio all’estero) è: «Non vi diamo più asilo perché non ne avete più bisogno, da voi ora va tutto bene». Terzo: i Paesi di cui sopra hanno partecipato al sistema di sanzioni internazionali varato dieci anni fa e rimasto in vigore finora allo scopo di devastare l’economia siriana e indebolire il regime. Operazione perfettamente riuscita: l’economia siriana non ha mai potuto riprendersi dai danni della guerra e Assad ha perso il potere. Proprio per questo, però, quegli stessi Paesi sanno in che condizioni è la Siria, quanto sia doloroso viverci per milioni di persone. Alle quali, però, ora negano anche la speranza di un asilo. La conclusione, che sarebbe esilarante se non fosse tragica, è che per i magistrati l’Egitto non è un Paese sicuro e per le ong la Tunisia non è un Paese sicuro quando si tratta di migranti, mentre per i governi europei la Siria è un Paese sicuro.
Nella realtà, questa decisione è stata presa dagli europei solo in base alla paura e all’egoismo. Paura di una nuova ondata di rifugiati dalla Siria, perché col piffero che tutti i siriani ora credono di vivere nel Paese di Bengodi. Ed egoismo perché il tema dell’immigrazione è diventato cruciale nelle campagne elettorali di molti Paesi, dall’Austria all’Italia, dal Regno Unito ai Paesi del Nord Europa, e questo di tenere alla larga i siriani è un ottimo sistema per evitare il problema.