(g.c.) – «La Siria vive giorni di grande importanza nella sua storia recente, è un cambiamento che la maggior parte di noi non aveva mai sperimentato, visto che il regime di Assad governava il Paese da 54 anni. Ovviamente questo fatto disorienta la gente che continua a provare sentimenti misti di gioia e sollevazione ma anche di ansia rispetto al futuro». Con queste parole esordisce fra Bahjat Elia Karakach, frate minore francescano della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Aleppo, in una circolare inviata nella sera del 9 dicembre a benefattori e amici.
«Ieri – prosegue – dopo l’annuncio della caduta del regime, c’è stata una giornata di forte caos a Damasco e nelle città costiere, dove la direzione delle operazioni militari è arrivata in ritardo per mettere un po’ di ordine e vietare spari e saccheggi. “Abbiamo avuto molta paura, saccheggi, incendi, perfino bambini di dieci anni portavano armi per le strade” mi ha detto una testimone che abita nella città di Jaramana, vicino a Damasco. Oggi la situazione sembra sotto controllo. Diverse persone esprimono la loro preoccupazione del fatto che Israele avanza, con il suo esercito, nei territori siriani, occupando la città di Qunaitra e il monte Sheik. Qualcuno addirittura teme che Israele invada tutta la Siria».
Intanto i capi delle Chiese dei vari riti presenti ad Aleppo si sono ritrovati nella mattina del 9 dicembre per una riunione, presenti anche rappresentanti del neonato governo di transizione preseduto da Mohammad al-Bashir.
«Le autorità ecclesiastiche di Aleppo – spiega fra Bahjat – hanno chiesto questo incontro per “scambiarsi gli auguri natalizi”. La riunione è si svolta nel nostro salone presso la parrocchia di san Francesco d’Assisi. I sacerdoti hanno posto molte domande e queste persone hanno risposto con un tono molto amichevole, dando delle risposte concrete e ragionevoli, ma al contempo piene di ottimismo, sul futuro del Paese. La prima preoccupazione in questo momento, ha affermato la persona responsabile dei contatti con le comunità cristiane, è quella di garantire sicurezza e soddisfare le prime necessità; poi si procederà a fornire i servizi necessari perché le attività riprendano il loro corso normale».
Le autorità che ora controllano la città si sono spinte a garantire nei giorni a venire l’apertura dell’aeroporto di Aleppo, per permettere l’arrivo degli aiuti umanitari. Si spera che possano riprendere i voli internazionali, visto che molti siriani desiderano tornare in Siria, almeno per vedere i loro cari.
Sul fronte delle libertà concesse alle comunità cristiane, le aperture sono state totali.
«Hanno garantito che tutto ciò che le comunità cristiane hanno fatto finora continuerà. I beni ecclesiastici saranno restituiti e le scuole private cristiane continueranno la loro missione educativa perché queste “c’erano prima di Assad e ci saranno dopo”. Per quanto riguardo il futuro della Siria dicono di non avere un progetto predeterminato, tutto dipende dalla volontà del popolo siriano che ha il diritto di decidere insieme la forma del loro governo».
Monsignor Antoine Audo, gesuita, vescovo caldeo di Aleppo ha ricordato a questo punto il ruolo dei cristiani nella cultura araba. A questo punto gli esponenti del nuovo governo di transizione hanno risposto i nomi degli scrittori più rinomati e rimarcando «Voi non siete stranieri ma siete parte essenziale di questo Paese come lo siamo anche noi». La riunione si è conclusa con una foto di gruppo scattata davanti alla porta del convento.
«Man mano che passano i giorni – conclude fra Bahjat – più i siriani sono scioccati dalle immagini delle carceri sotterranee che ora sono state aperte per liberare i detenuti politici. Le immagini che si trasmettono da quei luoghi di morte non possono non rievocare quelle dei campi di concentramento nazisti. Diverse migliaia di detenuti a vita senza processo, senza il minimo di condizioni umane, sottoposti a torture inimmaginabili. Persone ridotte a fantasmi a causa della fame. Questa ferita si aggiunge alle altre ferite del popolo siriano… moltissime famiglie non osavano nemmeno dire che un loro caro era scomparso nelle carceri del regime; il terrore li costringeva a tacere, ma la sofferenza nel cuore li consumava dentro. Ora che queste carceri sono state aperte tutti accorrono per sapere se il loro caro è ancora in vita, o se le sue capacità mentali gli permettono ancora di riconoscerli. Tutti i siriani ora chiedono giustizia, non solo agli uomini del regime ma anche a chi l’ha sostenuto per molti anni ed ha privato i siriani dei loro diritti più basilari. Giustizia, perché il carcere che ha detenuto tutti i siriani più di cinquant’anni, non si ripeta mai più nella storia».