(g.s.) – In Terra Santa il Giubileo del 2025 viene aperto con una concelebrazione solenne di tutti i vescovi e capi delle comunità cattoliche in calendario alle 11.00 (ora locale) di domenica 29 dicembre nella basilica dell’Annunciazione a Nazaret. A presiedere il rito – trasmesso in diretta video online dal Christian Media Center – sarà il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme.
Per accompagnare i fedeli a comprendere al meglio il senso dell’Anno Santo, l’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) indirizza loro un Messaggio pubblicato il 27 dicembre. Come sappiamo il Papa ha proposto come tema del Giubileo a tutta la Chiesa il motto Pellegrini di speranza. Parlare di speranza ai cristiani (in gran parte palestinesi) della Terra Santa è una bella sfida. Si avverte il rischio di ricorrere a parole consolatorie ma disincarnate, avulse dalle cronache. Tuttavia, proprio per i tempi che corrono, di speranza abbiamo sete tutti, non solo i credenti. Lo si avverte nitidamente.
Un dono di Dio
La speranza per i cristiani è essenzialmente una virtù radicata nella Redenzione, dall’iniziativa divina che porta in salvo ciascuno di noi e l’intero genere umano. Leggiamo nel messaggio: «Il Santo Padre, nella bolla di indizione del Giubileo ci ha ricordato che la speranza non delude. Il verbo utilizzato dall’apostolo Paolo sta ad indicare che la speranza cristiana ha un fondamento solido nel fatto che Dio ci ha accolti e giustificati donando il suo Figlio per noi, e ha riversato nei nostri cuori, mediante il dono dello Spirito Santo, il suo amore, che è gratuità assoluta e immeritata. Perciò la nostra speranza cristiana non va confusa con il desiderio vago di un futuro migliore radicato in una visione ottimistica della vita, ma va compresa come il frutto della passione, morte e risurrezione di Gesù, e del dono dello Spirito che il Risorto ci ha fatto. La speranza che non delude è quella che scaturisce dal sepolcro vuoto, cioè dalla Pasqua di Gesù, dalla sua risurrezione».
La dura realtà
«Nel corso degli ultimi decenni, e particolarmente nel corso degli ultimi anni, – riconoscono gli ecclesiastici cattolici – anche noi siamo passati attraverso un tempo prolungato di prova e di tribolazione: pensiamo alle difficoltà dovute all’incapacità di dare una soluzione politica alla questione palestinese e all’instabilità della regione; pensiamo alla pandemia e alla guerra che hanno sommato alle difficoltà economiche quelle della convivenza; pensiamo ancora alla violenza endemica e crescente nella società araba israeliana ma anche palestinese, che produce scoraggiamento in tanti nostri fedeli e la tentazione di lasciare la terra dei loro padri; pensiamo ancora alle difficoltà dei tanti migranti, sfollati e rifugiati, prigionieri politici e ostaggi di guerra. Se guardiamo a questo tempo di prova e di tribolazione da un punto di vista puramente umano siamo condotti inevitabilmente allo sconforto, a una visione cinica del presente e del futuro, alla perdita stessa della fede e al conseguente abbandono della Chiesa. È proprio in questo contesto che la parola di Dio e lo stesso anno giubilare ci invitano a ritrovare la speranza».
Segnali confortanti
I segni di speranza, anche in mezzo a tante difficoltà, non mancano e il Messaggio giubilare prova ad elencarli: «il primo e il più importante è l’anelito alla pace. Nelle nostre comunità provate da endemici conflitti e dalla piaga della guerra tale anelito è profondo. Ed è un segno di speranza il fatto che i fedeli della piccola comunità cristiana di Gaza non si siano fatti contagiare da logiche di odio e di inimicizia ma abbiano coltivato in modo attivo, soprattutto attraverso la preghiera, un cuore misericordioso e aperto alla riconciliazione, sostenuti da una fede che hanno testimoniato al mondo intero». Altri segni: nonostante le molte difficoltà «tante giovani coppie hanno scelto comunque di formare una famiglia, sposandosi e rimanendo in questa nostra terra»; l’accoglienza verso i migranti, gli sfollati e i rifugiati, «in modo tale da mostrare il volto accogliente e premuroso della comunità cristiana»; «la testimonianza di sacerdoti e religiosi che hanno condiviso le sofferenze della gente, rimanendo accanto al proprio popolo»; «la solidarietà che la Chiesa universale ha manifestato verso la Chiesa che vive in Terra Santa: con la preghiera e gesti materiali concreti»; la vicinanza di Papa Francesco verso tutti i popoli coinvolti nel conflitto; «i tanti appelli che sia la Santa Sede sia conferenze episcopali e Chiese sorelle hanno costantemente elevato per chiedere la cessazione delle guerre e la soluzione pacifica dei conflitti attraverso la negoziazione e gli strumenti della diplomazia». Altri segni possono essere scorti da ciascun fedele guardandosi attorno.
Quattro chiese giubilari in Terra Santa
Il Messaggio rammenta a tutti che le chiese già designate in Terra Santa come mete dei pellegrinaggi giubilari sono i tre santuari maggiori: le basiliche del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, dell’Annunciazione, a Nazaret, e della Natività, a Betlemme. Ad esse viene aggiunto il santuario del battesimo di Gesù (in Giordania), un sito nel quale negli ultimi anni, su impulso della Casa reale giordana, sono sorte numerose chiese. Quella cattolica di rito latino vi verrà consacrata il prossimo 10 gennaio.
Il messaggio, firmato dal presidente dell’Aocts, il card. Pizzaballa, si conclude affidando ai fedeli «una preghiera cara alla tradizione, l’Atto di speranza»:
Mio Signore e mio Dio,
per tua sola grazia e misericordia
spero di ottenere il perdono di tutti miei peccati
e al termine del pellegrinaggio di questa vita
spero di poter ricevere in dono la felicità eterna:
poiché tu stesso l’hai promessa,
tu che sei infinitamente potente,
fedele, benigno e misericordioso.
In questa speranza desidero vivere e morire. Amen.