È un risveglio amaro per chi negli ultimi quattro anni pensava che la Siria del nord si fosse stabilizzata. L’improvvisa conquista di Aleppo da parte delle milizie filo-turche nemiche del governo di Damasco e le possibili controffensive armate aprono scenari preoccupanti per le comunità cristiane rimaste nel nord del Paese.
Preoccupazione e attesa: i cristiani di Aleppo – la minoranza rimasta dopo il lungo assedio del 2012-2016 e i successivi anni difficili della mancata ricostruzione – vivono nell’incertezza su cosa accadrà alla città e alle loro comunità dopo la conquista fatta in pochi giorni dalle milizie jihadiste che si oppongono a Damasco. Ma è l’intera città, la seconda del Paese, a essere stata colta di sorpresa dall’attacco di Hayat Tahrir al-Sham, la formazione di matrice islamista, appoggiata dalla Turchia, che ha il proprio insediamento a Idlib, 70 chilometri a ovest e che dopo il 27 novembre ha lanciato un’offensiva che ha cambiato lo scenario del nord della Siria, rimasto sostanzialmente immutato dal 2020.
La ritirata delle truppe del governo di Damasco è stata di una rapidità inaspettata. Hanno perso il controllo totale della città, come non era successo neppure durante gli anni più tragici della guerra. I ribelli hanno chiuso il collegamento dell’autostrada verso Damasco e dichiarato di avere occupato anche una base militare e una quindicina di villaggi intorno alla città.
Le testimonianze dei francescani
Gli alleati del presidente Assad – Russia, Iran e Hezbollah libanesi – si sono affrettati a schierarsi al suo fianco promettendo aiuto all’esercito di Damasco per riprendere le posizioni perdute: i russi hanno compiuto alcuni attacchi aerei per rallentare l’avanzata dei ribelli. Uno di questi ha colpito il compound dell’ex collegio di Terra Santa dei frati francescani, fortunatamente senza causare vittime né feriti. Fra Samhar Ishak e fra Bassam Zaza sono i due frati che lì risiedono e che sono stati colti di sorpresa mentre si svolgevano le attività del panificio che distribuisce alimenti ai più bisognosi.
Fra Hannah Jallouf, vescovo dei cattolici latini in Siria, e fra Bahjat Karakash, parroco francescano di Aleppo, interpellati dalle agenzie di stampa, hanno confermato che non ci sono state vittime, ma solo danni materiali. Mons. Jallouf ha precisato che la notizia di cristiani uccisi è falsa. Se da un lato esprimono sollievo, dall’altro c’è la grande preoccupazione che la città possa tornare ad essere un campo di battaglia come negli scorsi anni.
Intanto le chiese restano aperte. Fra Bahjat ha raccontato di avere potuto muoversi per la città, accompagnando una anziana d’urgenza in ospedale, senza incontrare ostacoli. Ma le prime incognite riguardano il funzionamento dei servizi pubblici e delle istituzioni, le cui attività sono sospese. Se l’erogazione di corrente elettrica è stata finora mantenuta, preoccupa la fornitura di acqua. «La nostra mensa per i poveri ha ripreso il suo lavoro – ha continuato il parroco in un messaggio – distribuendo più di mille pasti. “Continuiamo a lavorare finché possiamo” mi ha detto Fr. Harout, responsabile della mensa, riferendosi alla possibilità che i fornimenti di cibo e gas scarseggino per i prossimi giorni. Per oggi, per mancanza di benzina e quindi di trasporto, abbiamo dovuto chiedere agli anziani di mandare qualcuno per ritirare i loro pasti che abitualmente ricevono a casa».
Fra Bahjat ha detto che c’è il desiderio di tornare alla normalità, «ma siamo cosciente che c’è bisogno del tempo che speriamo non sia lungo». Domenica i frati hanno celebrato la messa con una grande presenza dei fedeli, ovviamente di quelli che son rimasti in città. Ma comincia a comparire li problema delle sepolture dei morti, perché la zona dei cimiteri è diventata pericolosa. Resta nei frati la volontà di «restare per sempre vicino al nostro popolo, a tutti i siriani che hanno bisogno della nostra vicinanza. Vogliamo continuare ad essere uno strumento di pace e di riconciliazione laddove il nostro Signore ci manda».
Un capovolgimento repentino
Il ritiro delle forze militari di Damasco ha mostrato che il controllo del governo centrale era più fragile del previsto. Neppure durante i sanguinosissimi anni della battaglia di Aleppo, quando la città era divisa in due, le forze fedeli al governo di Damasco avevano mai lasciato campo libero ai ribelli nell’intera Aleppo, mentre oggi miliziani festeggiano facendosi ritrarre davanti ad alcune delle onnipresenti immagini di Assad.
È mutato lo scenario regionale: gli alleati di Assad sono tutti distratti da altre guerre in corso e risultano indeboliti. La Russia è impantanata nell’invasione dell’Ucraina che dura da quasi tre anni, l’Iran e Hezbollah nel conflitto con Israele di questi mesi. Questo è il contesto in cui si è rotto il cessate il fuoco che sostanzialmente reggeva dal 2020, con la mediazione di Russia e Turchia.
Un altro elemento da non trascurare è la condizione in cui hanno vissuto per anni milioni di sfollati interni e rifugiati: almeno due milioni di siriani oppositori di Assad si sono concentrati in campi profughi nel territorio di Idlib e lungo il confine turco, mentre 3,2 milioni vivono esuli nel sud della Turchia. Il governo di Ankara e la società turca sono sempre più insofferenti alla loro presenza. Un così gran numero di siriani fuggiti durante la guerra e privati della prospettiva di rientrare nel Paese o nelle loro terre di origine costituiscono una spinta a rovesciare lo status quo.
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La conquista jihadista di Aleppo è un brusco risveglio per chi pensava che la situazione fosse stabilizzata. Che la guerra in Siria non fosse mai finita, era dimostrato soprattutto dal fatto che il territorio nord-occidentale al confine con la Turchia non è tornato sotto il controllo di Damasco, né è stata trovata una soluzione politica di compromesso. E la Turchia, che negli anni della guerra civile siriana, ha ampiamente appoggiato gli oppositori di Assad, ha continuato a perseguire i propri interessi, con una presenza lungo il territorio settentrionale di confine e attacchi alle forze curde dell’Ypg che considera fiancheggiatrici dei curdi di Turchia.
È molto probabile, perciò, che abbia appoggiato Hayat Tahrir al-Sham nell’offensiva. Il gruppo armato sunnita che si è formato nel 2017 da una derivazione del fronte al-Nusra (galassia di al-Qaeda) e che si definisce «Organizzazione per la liberazione del Levante», dopo Aleppo si sta spingendo verso sud, con l’obiettivo di conquistare Hama (circa un milione di abitanti). Anche i curdi di Aleppo sono sotto attacco e stanno ripiegando verso zone a Est della Siria per loro più sicure.
Il governo di Assad era riuscito a cacciare le formazioni jihadiste dopo anni di scontri che hanno devastato la città fino al 2016. Si era mantenuto in piedi soprattutto grazie al sostegno militare di Russia, Iran e Hezbollah. Mosca, che ha una base aerea vicino a Latakia e una base navale a Tartus, contribuì con gli attacchi dell’aeronautica. L’Iran, grazie al generale Qasem Soleimani, leader dei pasdaran ucciso nel 2020, fu l’architetto dell’alleanza tra Teheran e Damasco e organizzò una serie di milizie sciite con combattenti iracheni, afghani e di altri Paesi. Soprattutto l’aiuto sul terreno alle truppe di Damasco venne dall’alleato libanese: miliziani sciiti di Hezbollah hanno fornito un sostegno indispensabile alle forze di Assad.
Ora tutti i governi, sia chi esce vincente sia chi esce sconfitto da questa svolta nella guerra siriana, fanno appelli per la non-escalation. Due interrogativi si pongono gli abitanti di Aleppo, uno più angosciante dell’altro: che cosa faranno i nuovi occupanti sunniti, in particolare rispetto alle minoranze religiose? In alternativa all’«amministrazione» islamista, gli alleati di Damasco potrebbero decidersi ad aiutare Assad nella riconquista. La notizia di gruppi armati sciiti iracheni, come Katiab Hezbollah alleati dell’Iran che starebbero rientrando in Siria per dare man forte alle forze armate regolari, sono il preludio di una nuova fase della guerra. (f.p.)
Articolo aggiornato il 3 dicembre 2024