Tre mandati d’arresto internazionali per i crimini a Gaza e nel sud di Israele
Nella Striscia di Gaza e nel sud di Israele dal 7 ottobre 2023 ad oggi sono stati commessi crimini di guerra e contro l'umanità. Convinta di ciò la Corte penale internazionale chiede l'arresto di uno dei leader di Hamas Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri (Deif), del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell'ex ministro della Difesa Yoav Gallant.
(g.s.) – Due distinti tribunali internazionali – è bene sottolinearlo, perché anche su molti media di caratura nazionale in Italia si fa confusione – si stanno occupando di ciò che è accaduto e accade nella Striscia di Gaza e dintorni dal 7 ottobre 2023.
La Corte internazionale di giustizia
Il primo dei due, in ordine di creazione, è la Corte internazionale di giustizia, che ha sede all’Aja (Paesi Bassi) e fa parte del sistema delle Nazioni Unite, di cui sono membri quasi tutti gli Stati del mondo. Si occupa di arbitrati e diatribe tra Stati che vogliano risolvere i loro dissidi affidandosi al diritto, anziché alla forza. Non le compete giudicare gli individui o sanzionare condotte personali di rilevanza penale, neppure se di governanti. Questo organo giudiziario è stato creato nel 1946, come evoluzione di precedenti magistrature internazionali e arbitrali che risalgono all’Ottocento. Nel dicembre 2023 il Sud Africa ha aperto un caso contro Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia accusando lo Stato ebraico di violare, nella Striscia di Gaza, la Convenzione sulla punizione e prevenzione del crimine di genocidio che esso stesso ha sottoscritto nel 1949. L’iter processuale è ancora in corso e si prevede lungo, ma nel frattempo la Corte ha ordinato, con tre diversi pronunciamenti, di adottare misure urgenti atte a scongiurare effetti genocidiari.
La Corte penale internazionale
Il secondo tribunale è la Corte penale internazionale, che non fa parte del sistema Onu benché abbia con esso speciali relazioni. Anche questa corte ha sede all’Aja e qui sta una delle ragioni delle frequenti confusioni. È stata creata da un trattato internazionale – lo Statuto di Roma – siglato da numerosi Stati nella capitale italiana nel 1998. La Corte giudica le persone (anche i governanti o i responsabili militari) che hanno responsabilità penali nelle seguenti categorie di crimini «molto gravi e di rilevanza internazionale»: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimine di aggressione. Per ognuna di queste quattro categorie lo Statuto di Roma dettaglia le varie condotte sanzionabili.
La Corte non procede se le persone accusate di questi crimini sono già imputate per gli stessi reati davanti a tribunali nazionali competenti.
Allo Statuto di Roma non hanno aderito – e quindi non riconoscono la giurisdizione della Corte – molti Stati grandi e piccoli (ad esempio Usa, Cina, Russia, India, Pakistan, Indonesia, Iran, Filippine, Israele…) che non vogliono esporre i loro cittadini – militari e politici in primo luogo – a una giurisdizione diversa dalla propria. Spesso questi Stati presentano significative e persistenti violazioni dei diritti umani al loro interno, oppure hanno truppe all’estero impiegate in azioni belliche, che per loro natura possono sconfinare in comportamenti criminosi.
Teoricamente tutti i 124 Stati membri dello Statuto di Roma sono tenuti a dare applicazione agli atti della Corte penale internazionale sul loro territorio. Il realismo insegna però che, violando gli impegni solennemente presi quando si è sottoscritto il trattato, prevalgono in genere considerazioni di ordine politico/diplomatico o l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione. Citiamo solo il caso più recente: sul presidente russo Vladimir Putin pende un mandato d’arresto emesso all’Aja eppure il 2 settembre scorso è stato accolto con tutti gli onori nella capitale della Mongolia, paese che aderisce allo Statuto di Roma e che avrebbe perciò dovuto procedere all’arresto o, quanto meno, considerarlo ospite imbarazzante e sgradito…
L’iniziativa della Palestina
Nel 2015 è stato riconosciuto come membro dello Statuto di Roma anche lo Stato di Palestina, che successivamente (nel 2018) ha chiesto al procuratore – organo che rappresenta l’accusa presso la Corte penale internazionale – di considerare i crimini presumibilmente commessi negli ultimi anni nei Territori palestinesi. La procura nel 2021 ha accolto l’istanza palestinese e dichiarato la propria competenza a indagare.
L’estate scorsa, riferendosi soprattutto a quanto è accaduto a Gaza nell’ultimo anno, il procuratore ha chiesto alla Corte di emettere mandati di arresto internazionali contro varie personalità ritenute perseguibili: i palestinesi Ismail Haniyeh, Yahya Sinwar e Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri (alias Deif) ai vertici di Hamas e gli israeliani Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, rispettivamente primo ministro e ministro della Difesa all’epoca dei crimini contestati (Gallant è stato estromesso dal sesto governo Netanyahu il 5 novembre scorso).
Una sezione (o Camera) di questa Corte ieri, 21 novembre 2024, ha reso noto di aver accolto le richieste del procuratore ed emesso i mandati d’arresto per le tre personalità ancora in vita. Deif, in realtà, potrebbe essere già stato ucciso dalle truppe israeliane, ma in assenza di certezze sul suo decesso la Corte ha deciso di procedere anche contro di lui.
I crimini attribuiti a Deif
Nei due distinti comunicati diffusi per motivare i tre mandati d’arresto la Corte elenca le accuse e indica una serie di episodi specifici.
In sostanza, riguardo a Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri (Deif) scrive: «La Camera ha trovato ragionevoli motivi per ritenere che Deif, nato nel 1965, il più alto comandante dell’ala militare di Hamas (nota come Brigate al-Qassam) al momento della presunta condotta, sia responsabile dei crimini contro l’umanità di omicidio, sterminio, tortura, stupro e altre forme di violenza sessuale, nonché dei crimini di guerra di omicidio, trattamento crudele, tortura, presa di ostaggi, oltraggio alla dignità personale, stupro e altre forme di violenza sessuale».
«La Camera – si legge ancora – ha trovato ragionevoli motivi per ritenere che Deif sia responsabile penalmente dei suddetti crimini per (i) aver commesso gli atti congiuntamente e attraverso altri e (ii) aver ordinato o indotto la commissione dei crimini, e (iii) per non aver esercitato un controllo adeguato sulle forze sotto il suo effettivo comando e controllo. (…) La Camera ha inoltre ritenuto che vi siano ragionevoli motivi per credere che i crimini contro l’umanità facciano parte di un attacco diffuso e sistematico diretto da Hamas e altri gruppi armati contro la popolazione civile di Israele».
I crimini attribuiti a Netanyahu e Gallant
Quanto ai governanti israeliani Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, il comunicato stampa della Corte si dilunga. In sintesi, le contestazioni principali sono queste: «La Camera ha considerato che esistono motivi ragionevoli per ritenere che entrambi gli individui abbiano intenzionalmente e consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili per la sua sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità, almeno dall’8 ottobre 2023 al 20 maggio 2024. Tale conclusione si basa sul ruolo del signor Netanyahu e del signor Gallant nell’impedire l’assistenza umanitaria in violazione del diritto umanitario internazionale e nel non facilitare il soccorso con tutti i mezzi a loro disposizione. La Camera ha stabilito che la loro condotta ha portato all’interruzione della capacità delle organizzazioni umanitarie di fornire cibo e altri beni essenziali alla popolazione bisognosa di Gaza. Le suddette restrizioni, insieme al taglio dell’elettricità e alla riduzione delle forniture di carburante, hanno inoltre avuto un grave impatto sulla disponibilità di acqua a Gaza e sulla capacità degli ospedali di fornire cure mediche. La Camera ha inoltre osservato che le decisioni di consentire o aumentare l’assistenza umanitaria a Gaza erano spesso condizionate. Non erano prese per adempiere agli obblighi di Israele ai sensi del diritto umanitario internazionale o per garantire che la popolazione civile di Gaza fosse adeguatamente rifornita di beni necessari. In realtà, erano una risposta alla pressione della comunità internazionale o a richieste degli Stati Uniti d’America. In ogni caso, gli aumenti nell’assistenza umanitaria non erano sufficienti a migliorare l’accesso della popolazione ai beni essenziali».
«Inoltre – prosegue la motivazione –, la Camera ha riscontrato motivi ragionevoli per ritenere che non potessero essere identificati né una chiara necessità militare né altre giustificazioni previste dal diritto umanitario internazionale per le restrizioni imposte all’accesso delle operazioni di soccorso umanitario. Nonostante gli avvertimenti e gli appelli, tra gli altri, del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, del Segretario Generale dell’Onu, di Stati e organizzazioni governative e della società civile riguardo alla situazione umanitaria a Gaza, solo un’assistenza umanitaria minima è stata autorizzata. A questo proposito, la Camera ha considerato il prolungato periodo di privazione e la dichiarazione del signor Netanyahu che collegava la sospensione dei beni essenziali e degli aiuti umanitari agli obiettivi di guerra. La Camera ha pertanto trovato motivi ragionevoli per ritenere che il signor Netanyahu e il signor Gallant abbiano una responsabilità penale per il crimine di guerra di usare la fame come metodo di guerra».
Determinate condotte militari sul campo, per le conseguenze che hanno provocato sulla popolazione civile, sono configurabili non solo come crimini di guerra ma anche come crimini contro l’umanità, tra i quali: omicidio, per i civili – inclusi i bambini – morti per malnutrizione e disidratazione; atti inumani, per aver lasciato ospedali e personale sanitario della Striscia di Gaza senza i necessari medicinali e mezzi ad operare e amputare i pazienti senza anestetici; persecuzione, per aver privato la popolazione di Gaza dei suoi diritti fondamentali sulla base di considerazioni politiche e/o nazionali.
Fin qui i capi di accusa presentati dalla procura per motivare e ottenere i mandati d’arresto. Eventuali futuri processi davanti alla Corte penale internazionale – se mai saranno celebrati – sono, al momento, di là da venire.