L’inaugurazione ufficiale avrebbe dovuto svolgersi mercoledì 18 settembre scorso, ma l’evento è stato cancellato dopo l’esplosione simultanea in tutto il Paese di centinaia di dispositivi di comunicazione, cercapersone e walkie-talkie, che hanno ucciso e ferito decine di persone. Ricorderete: una serie di apparecchi in uso a militanti e fiancheggiatori di Hezbollah, muniti di una microcarica di esplosivo, vennero fatti detonare da remoto il 17 e 18 settembre (probabilmente dai servizi segreti israeliani, anche se non c’è mai stata conferma).
Oltre un mese più tardi il Padiglione Nuhad es-Saïd per la Cultura, presso il Museo nazionale di Beirut, ha comunque aperto i battenti. E nel clima che si respira nel Libano d’oggi – con la guerra che ha toccato pesantemente le regioni di Tiro e Sidone, ma non ha risparmiato la capitale e anche obiettivi nel nord (come il campo profughi palestinese di al-Beddawi, a Tripoli del Libano), mezzo milione di profughi in fuga verso la Siria, una crisi economica che sembra senza fine – l’inaugurazione di un’istituzione culturale rappresenta un raggio di luce e di speranza.
Il Museo nazionale di Beirut ospita reperti eccezionali e la più grande collezione al mondo di sarcofagi antromorfi. Già nel progetto del 1928 (firmato da Pierre Leprince-Ringuet e Antoine Nahas) erano state previste due ali, ma alla fine solo l’ala sinistra era stata costruita, lasciando uno spazio vuoto a destra del museo, nel giardino che costeggia l’ippodromo.
Il completamento del progetto iniziale con una nuova area espositiva e polifunzionale è merito di Mouna Hraoui, presidente della Fondazione del Patrimonio nazionale (Fnp), che ha voluto «uno spazio moderno, concepito per essere più attraente per i visitatori, in particolare per le giovani generazioni». Il progetto era stato avviato con un protocollo d’intesa tra il ministero della Cultura e la Fondazione del Patrimonio nazionale nel 2014. Solo dieci anni dopo, tra mille difficoltà, la realizzazione – affidata allo studio di architettura Raëd Abillama – è andata in porto.
La signora Hraoui ha dichiarato allo storico quotidiano libanese L’Orient-Le Jour: «In questa sede storica e prestigiosa, la sala polivalente è perfetta per ospitare attività di ogni tipo, mostre, seminari, conferenze, tavole rotonde, presentazioni di libri e così via. Non dobbiamo dimenticare che la cultura rimane il volto illuminato del Paese». Come si conviene in un museo moderno, la nuova ala, oltre a collezioni permanenti e mostre temporanee, offre ai visitatori spazi di ristorazione, ricreazione e libreria.
Il nuovo padiglione è stato intitolato a Nuhad es-Saïd, grande appassionato e collezionista di arte islamica, morto nel 1982. Nel corso della sua breve vita (è mancato a 46 anni) Es-Saïd ha raccolto pezzi eccezionali, realizzati tra il X e il XIX secolo. La sua collezione è stata spesso prestata a musei di fama internazionale come il Guggenheim e l’Arthur M. Sackler Gallery, il museo d’arte della Smithsonian Institution di Washington (Usa). «Ogni pezzo è unico e rappresenta il meglio del suo genere», scrive Massumeh Farhad, curatore della galleria d’arte islamica.
La Fondazione del Patrimonio nazionale è un’istituzione privata con un consiglio di amministrazione e un comitato esecutivo. Il suo obiettivo è quello di promuovere la salvaguardia del patrimonio libanese. In collaborazione con il ministero della Cultura, si occupa del restauro e della conservazione di siti ed edifici di importanza archeologica o di carattere storico, anche organizzando raccolte fondi a livello internazionale. Oltre ad aver curato il restauro di alcune sale del Museo nazionale, la Fondazione ha contribuito anche al restauro delle stele di Nahr el-Kalb (2002-2003), alla creazione del Museo della vita rurale di Terbol (2003-2004) e all’eco-museo di Ras Baalbeck (2008).
L’ala del Museo di Beirut testé aperta al pubblico è stata realizzata anche grazie al finanziamento della Cooperazione internazionale italiana, che fa capo al ministero degli Esteri. Per la prima volta i nuovi spazi permettono l’esposizione di tutta la prestigiosa collezione di reperti dell’arte funeraria libanese, dalla preistoria alla conquista islamica con reperti del periodo mamelucco.
Eccezionale l’esposizione degli affreschi romani della Tomba di Tiro, scoperta nel 1937 a Burj al Shemali e nel 1939 ricostruita nel Museo dove subì gravi danni a causa dalla lunga guerra civile libanese (1975-90). Gli affreschi, che narrano tra l’altro il mito di Achille che restituisce le spoglie di Ettore al padre Priamo, il rapimento di Proserpina ad opera di Plutone, sono stati anch’essi restaurati grazie a un finanziamento italiano nel 2009.
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