C’era una scadenza di 30 giorni che l’amministrazione Biden il 13 ottobre aveva dato al governo israeliano perché consentisse l’accesso agli aiuti umanitari a Gaza, altrimenti gli Usa avrebbero interrotto le forniture militari a Israele.
Al termine del mese accordato, gli Stati Uniti non hanno dato seguito all’ultimatum e continuano a trasferire armi e attrezzature militari, nonostante otto ong, tra cui il Consiglio norvegese per i rifugiati, Oxfam, Refugees International e Save the Children, affermino che Israele non ha soddisfatto le richieste di permettere l’accesso di maggiori quantità di alimenti e medicinali nella Striscia occupata.
Il governo Netanyahu ha deciso di far entrare più aiuti, ma secondo gli operatori umanitari è troppo poco e troppo tardi. Hanno attraversato la frontiera in media 37 camion al giorno, ma ne servirebbero 350, secondo l’Unrwa, per alleviare la situazione disastrosa in cui si trovano oltre 2 milioni di persone prive di tutto.
Le consegne di armi dagli Usa hanno avuto qualche rallentamento, ma non si sono interrotte. Netanyahu ha quindi mandato il 12 novembre negli Usa il suo ministro agli Affari strategici, Ron Dermer, per assicurarsi che le forniture proseguano.
Mentre molti si domandano in che misura la nuova amministrazione Trump da gennaio continuerà a rifornire di armi a Israele, finora aerei da caccia, missili terra-aria, carri armati, veicoli corazzati per il trasporto di truppe (Apc) e bombe da 900 chili non sono mancati negli arsenali delle forze armate israeliane. Gli Usa restano il principale fornitore di armi a Israele e il governo Netanyahu non potrebbe condurre operazioni militari su molteplici fronti (Striscia di Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iran e Mar Rosso/Yemen) senza le forniture da oltreoceano.
Le denunce dei centri di ricerca
L’Acronym Institute for Disarmament Diplomacy, una ong impegnata nel controllo delle armi presso le Nazioni Unite ha dichiarato che «il governo degli Stati Uniti è stato un fermo sostenitore e difensore del governo israeliano e il suo più importante fornitore di armi per diversi decenni. (…) Il governo israeliano ha definito le sue azioni come autodifesa, in seguito agli orrendi attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Invece di agire per autodifesa, gli israeliani hanno condotto attacchi indiscriminati e diffusi che hanno colpito in modo sproporzionato i civili».
Certo non è una posizione isolata, o proveniente da ambienti dell’Onu che Israele oggi considera, per bocca del suo primo ministro, una «palude di bile antisemita», dove «c’è una maggioranza automatica disposta a demonizzare lo Stato ebraico per qualsiasi cosa» (discorso di Netanyahu all’Assemblea generale del 24 settembre 2024). Infatti, il quotidiano israeliano Haaretz, la voce dell’opposizione interna al governo estremista in carica, il 10 novembre ha parlato esplicitamente di pulizia etnica in corso nel nord della Striscia di Gaza.
Il Watson Institute, un centro di ricerca del Rhode Island (Usa) per gli affati internazionali, ha di recente documentato quasi 23 miliardi di dollari in aiuti militari statunitensi a Israele, arrivati fra ottobre 2023 e settembre 2024. Queste armi comprendono: oltre 4mila tonnellate di carburante JP-8 per aerei da combattimento; 57mila proiettili di artiglieria da 155 mm; 36mila munizioni per cannoni da 30 mm; 20mila fucili d’assalto M4A1; 14mila missili anticarro; 8.700 bombe Mk82; 3.500 dispositivi per la visione notturna; 3.000 munizioni Joint Direct Attack (Jdam); 14mila bombe non guidate da circa 900 chilogrammi; 3.000 missili anticarro Hellfire; 1.800 bombe antibunker (M141); 200 droni Switchblade (serie 600); più di 100 droni della serie Skydio X e 75 veicoli tattici leggeri corazzati (Jltv).
Secondo il Sipri, l’autorevole Istituto internazionale di ricerca per la pace di Stoccolma, dal 2019 al 2023 gli Stati Uniti «sono stati responsabili del 69 percento del valore in dollari delle importazioni di armi israeliane». Chiaramente i produttori di armi statunitensi hanno anche interessi economici nel continuare a procurare consistenti forniture di armi a Israele. Il Sipri osserva che «i produttori di armi non sono partecipanti neutrali in questi processi».
Con una legge del 2008, gli Usa si sono impegnati a preservare il vantaggio militare qualitativo di Israele nella regione, cioè la capacità israeliana di contrastare e sconfiggere qualsiasi minaccia militare convenzionale credibile da parte di Stati o attori non statali. Di conseguenza forniscono 3,8 miliardi di dollari all’anno in aiuti militari finanziari a Israele per il periodo 2019-2028. Pertanto, Israele dipende dagli Stati Uniti per aerei da combattimento, fornitura di alcuni missili e, in generale, i sistemi di difesa aerea.
Una lettera presentata dal governo della Turchia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stata firmata da una cinquantina di Stati della Lega Araba e dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, riuniti l’11 novembre in Arabia Saudita. Chiede l’embargo internazionale sulle armi destinate a Israele. Ma il potere di veto degli Usa al Consiglio di Sicurezza, ampiamente usato a favore di Israele, impedirà che la proposta sia accolta in sede Onu. (f.p.)