«A Betlemme la guerra sembra lontana, ma solo un’ora di macchina ci separa da Gaza. La verità è che la guerra ha colpito anche la nostra città in modo grave. Certo, non siamo sotto le bombe e tra le macerie della Striscia; non ci sono le decine di migliaia di lutti… ma lo stop dei pellegrinaggi, da cui dipende l’economia della città, ha gettato le famiglie in un baratro di povertà». La voce di fra Rami Asakrieh arriva velata da rabbia e tristezza. Il religioso, frate minore della Custodia di Terra Santa, è parroco a Betlemme. E tocca con mano ogni giorno le difficoltà degli abitanti della città dove è nato il Bambino Gesù.
«Tra le difficoltà non possiamo tralasciare l’interruzione del rilascio dei permessi di lavoro in Israele, che impedisce ai lavoratori di recarsi fuori dai Territori. Questa situazione dura da più di un anno. Dopo il periodo terribile del Covid, erano solo pochi mesi che a Betlemme si tornava a respirare. Poi questa mazzata della guerra, che dopo il 7 ottobre ha ributtato la città nel baratro dello sconforto». «La gente è piena di debiti – prosegue il parroco –. La maggior parte riceve qualche piccolo aiuto dai parenti che vivono fuori dai Territori o all’estero. Altri si sono indebitati con le banche, oppure hanno venduto la macchina. Se vai al supermercato, sono decine le famiglie che hanno debiti non pagati. Come parrocchia abbiamo un programma di sostegno attraverso la Caritas, ma non arriviamo se non a coprire pochissime esigenze. Una goccia nel mare». In più, nel clima di confusione che si è creata e grazie alla legittimazione degli estremisti al governo in Israele, anche attorno a Betlemme i coloni israeliani cercano di prendere possesso illegalmente delle terre.
«Di fatto Betlemme è assediata dagli insediamenti dei coloni – fa notare il parroco –. C’è anche il caso di Cremisan (proprietà dei salesiani – ndr), dove da anni è in corso un braccio di ferro con i coloni che vorrebbero prendersi i terreni. Non è ancora finita e il pericolo è sempre in agguato. Oltre il muro siamo circondati dai coloni, verso il Campo dei Pastori e oltre Beit Jala». Altra nota dolente, la inesorabile diaspora delle famiglie. «Qui eravamo abituati ad un breve periodo di guerra, ma poi piano piano si tornava a vivere. Ora, senza prospettive e senza lavoro, sono molte decine le famiglie cristiane che hanno lasciato la città. Chi ha mezzi o parenti all’estero, cerca di andarsene, soprattutto attraverso la Giordania. Se ci fosse la possibilità di raggiungere le ambasciate per i visti, credo che la fuga sarebbe ancora più imponente».
Nella città del Natale, che anche quest’anno si prepara a celebrare la festa in tono decisamente minore, senza sfarzo e senza luci, fra Rami rimarca però qualche segno di speranza. «Il clima d’incertezza che stiamo vivendo sta facendo riscoprire a molti una vita spirituale più solida. Mi sono stupito, di recente, di quanta gente frequenta la domenica la messa. Almeno il doppio della partecipazione solita. Le persone cercano una speranza nella Chiesa e nei sacramenti. E anche tra le Chiese e i credenti presenti in città cresce il clima di comunione e di collaborazione».
Il 7 ottobre anche a Betlemme si è celebrata la Giornata di digiuno e preghiera indetta dal patriarca latino. «Ma qui a Betlemme – spiega il religioso – abbiamo fatto anche di più… Abbiamo finito la giornata con una preghiera ecumenica per la pace che si è tenuta nella chiesa di Santa Caterina, presso la Natività. Come comunità cristiana viviamo grazie alla fede che questo luogo santo trasmette. Oggi più che mai abbiamo tutti gli occhi e i cuori rivolti al Principe della pace. Per il prossimo Natale chiediamo ai benefattori e ai cristiani di tutto il mondo di non dimenticare Betlemme, ma di ricordare la nostra comunità cristiana con la preghiera e con iniziative di solidarietà. Serve accendere nel cuore di ciascuno una luce per Betlemme in spirito di preghiera e di pace, in modo da sentire stretta attorno a noi tutto il mondo cristiano. Nella speranza che il Signore illumini presto la mente dei capi delle nazioni e che finisca una volta per tutte la sofferenza della nostra gente e dei popoli del Medio Oriente».
Come aiutare
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Eco di Terrasanta 6/2024
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