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L’Iran si prepara all’attacco israeliano

Elisa Pinna
7 ottobre 2024
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La vita a Teheran, apparentemente, scorre come sempre, ma tutti percepiscono che il momento di un attacco israeliano alla Repubblica islamica è questione di giorni, di ore o anche di minuti. Quali forme prenderà la rappresaglia contro il lancio di missili iraniani su Israele del primo ottobre scorso?


Le ambasciate straniere hanno messo in allerta i propri cittadini a Teheran. Lo spazio aereo nei cieli iraniani è stato chiuso. Nessuno sa in realtà cosa può accadere, ma in Iran, dove – in base alle notizie che arrivano – la vita, apparentemente, scorre come sempre, tutti percepiscono che il momento di un attacco israeliano alla Repubblica islamica è questione di giorni, di ore o anche di minuti.

A leggere i giornali iraniani, al netto della propaganda nazionalista, si intuisce che il regime avrebbe preferito non arrivare a questo momento.

Solo pochi giorni fa, all’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il presidente riformista iraniano, Masoud Pezeshkian, tendeva la mano all’Occidente, ottemperando così al suo mandato. La sua elezione, dopo la morte in un misterioso incidente d’elicottero del predecessore e ultraconservatore Ibrahim Raisi, era stata favorita dal regime proprio per riaprire il dialogo con gli Stati Uniti e cercare di liberarsi delle sanzioni economiche che stanno soffocando il Paese.

Sempre nei primi giorni di assemblea dell’Onu, sembrava in dirittura di arrivo un accordo per una tregua di 21 giorni tra Israele e Hezbollah in Libano, comprensivo di un cessate il fuoco a Gaza, un negoziato mediato da Francia, Stati Uniti e Qatar. L’Iran aveva fatto sapere che, in caso di accordo, avrebbe rinunciato alla rappresaglia per l’uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, eliminato in un attentato compiuto a Teheran da agenti israeliani del Mossad, il giorno dell’insediamento di Pezeshkian e alla vigilia di una tregua a Gaza.

Il premier israeliano Netanyahu ha preferito alzare il tiro. Prendendo scientemente in contropiede mediatori e controparte – scrive la testata emiratina The National in una dettagliata ricostruzione dei fatti, pubblicata il 5 ottobre – il primo ministro, parlando al Palazzo di Vetro di New York ha prima accusato l’Onu di essere una «palude di antisemiti» e subito dopo, dalla sua camera d’albergo a New York, ha dato il via libera all’attacco dell’aviazione che ha bombardato alcuni edifici di Beirut per uccidere il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e fare strage di quadri e dirigenti del movimento libanese. Sotto le bombe è morto anche uno dei più importanti capi dei Pasdaran iraniani.

È in questo contesto che la dirigenza iraniana ha abbandonato la sua «pazienza strategica» – spiega l’analista iraniano Abdolreza Faji Rad sul giornale online Fararu – ed ha deciso, con la rappresaglia su Israele il primo ottobre, di «difendere il suo peso geopolitico nella regione». Se non l’avesse fatto, avrebbe mostrato una «debolezza» tale da indurre gli israeliani ad «attaccare in ogni caso il Paese».

Si è trattato di una decisione difficile, non condivisa da una parte della popolazione iraniana, che ha criticato l’operazione militare apertamente, come ha riferito l’agenzia Ansa in un reportage. «Credo che vendicare l’assassinio di alti esponenti libanesi e palestinesi non sia affar nostro. Il governo dovrebbe smetterla di mettere a repentaglio la nostra sicurezza», ha affermato ad esempio Maliheh, un’insegnante di 48 anni.

La rappresaglia del primo ottobre (a differenza della precedente, in aprile, dopo il bombardamento israeliano sull’ambasciata iraniana a Damasco) non è stata solo dimostrativa ma ha colpito obiettivi militari israeliani, provocando l’immediato annuncio da parte di Netanyahu di un decisivo attacco all’Iran, con l’obiettivo anche di «un cambio di regime». Se la Repubblica islamica fosse colpita brutalmente, le conseguenze potrebbero innescare un processo destabilizzante per il Paese stesso, oltre che per la regione. Visti i precedenti, non è da escludere che gli israeliani, dopo aver decapitato la dirigenza di Hamas e quella di Hezbollah, possano puntare al bersaglio grosso: la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei.

Le ipotesi discusse sui mass media, compresi quelli iraniani, sono però altre. L’Iran ha un gran numero di luoghi «sensibili», dalle basi militari ai siti petroliferi fino a quelli nucleari. Un attacco alle basi militari manterrebbe il livello di scontro sul piano dell’operazione iraniana in Israele, senza eccessivi rischi di produrre una escalation fuori controllo.

Un attacco ai siti nucleari appare – secondo molti analisti – impraticabile. Israele vede il programma nucleare iraniano come una «minaccia alla propria esistenza». Per colpire i siti nucleari, molti dei quali si trovano sottoterra e in profondità, Israele dovrebbe poter contare sull’appoggio tecnologico e militare degli Stati Uniti. Tuttavia il presidente statunitense Joe Biden ha detto che non sosterrebbe un attacco simile. Donald Trump, ex presidente statunitense e candidato nuovamente alla Casa Bianca, incita invece il governo di Netanyahu a colpire proprio dove l’effetto sarebbe più catastrofico.

La terza ipotesi, un bombardamento degli impianti energetici, è quella di cui si parla di più e su cui si concentrano anche i giornali iraniani. Un attacco alle strutture petrolifere iraniane potrebbe affondare la già fragile economia iraniana, ma anche aumentare i prezzi del greggio e sconvolgere il mercato mondiale del petrolio, ad un mese dalle elezioni statunitensi, danneggiando soprattutto i democratici. Solo il fatto che Biden, lo scorso 3 ottobre, abbia detto che si discuteva con Israele della possibilità di colpire la produzione energetica iraniana ha fatto salire immediatamente il prezzo del petrolio. Oltretutto, Teheran, in caso di attacco israeliano ai suoi pozzi, ha minacciato di allargare la guerra del petrolio alla regione. Quanto ciò sia realmente fattibile resta da vedere. Il presidente iraniano si è comunque recato il 2 ottobre, il giorno dopo la rappresaglia contro Israele, a Doha, in Qatar, per consultarsi con i vicini arabi. Ha incontrato anche il ministro degli Esteri saudita e i rappresentanti dei Paesi del Golfo, che gli hanno garantito neutralità in caso di attacco israeliano.

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Francesco D'Assisi

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