In guerra, si sa, l’informazione libera e imparziale è una delle prime vittime, ma nelle guerre che si stanno combattendo in Medio Oriente, in particolare nella Striscia di Gaza, sono stati superati limiti in modalità che non hanno precedenti. L’informazione è una delle vittime di Israele nello scontro armato con i suoi avversari.
Dal 7 ottobre 2023 a oggi si sa con certezza che sono stati uccisi 116 giornalisti, fotografi e cameramen. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cjp, ong con sede a New York) tiene un conto aggiornato di uccisioni e ferimenti di operatori dell’informazione. Le vittime nella guerra in corso da un anno sono 111 palestinesi, 2 israeliani, 3 libanesi. Inoltre, sono stati registrati 35 ferimenti, 2 sparizioni e 54 arresti. Il Comitato sta faticosamente indagando anche su altri 130 casi di scomparse e ferimenti ancora da verificare. Da quando registra le uccisioni (1992) il Cpj non aveva mai certificato una simile strage. Nei trent’anni precedenti a questo conflitto, erano stati 19 i giornalisti uccisi in Israele e Territori palestinesi.
I numeri forniti dalla Federazione internazionale della stampa sono ancora più alti: dal 7 ottobre 2023 a oggi le vittime nel settore dell’informazione sono 128 palestinesi, 4 israeliani, 5 libanesi e un siriano.
Mancano pochi giorni al primo anniversario dagli attacchi di Hamas: 797 civili e 379 militari uccisi, 251 rapiti. La risposta militare voluta dal governo di Benjamin Netanyahu ha fatto più di 40mila vittime, secondo le stime riconosciute a livello internazionale. I giornalisti palestinesi dentro la Striscia sono stati gli unici a fornire notizie e testimonianze – dato che le forze armate israeliane non hanno mai permesso alle troupe straniere di entrare – e hanno pagato un prezzo altissimo, condividendo con la popolazione i bombardamenti, la fame e gli sfollamenti.
Come Nafez Abdel Jawad, direttore di Palestine TV, ucciso l’8 febbraio insieme a suo figlio da un attacco missilistico israeliano che ha colpito la sua casa a Deir al Balah. Il missile ha provocato la morte di 14 persone tra cui cinque bambini, secondo Cnn e l’agenzia turca Anadolu. Rispondendo alle domande del network statunitense sull’uccisione di Jawad, le forze armate israeliane hanno negato di prendere di mira deliberatamente i giornalisti e dichiarato che «adottano tutte le misure possibili a livello operativo per mitigare i danni ai civili». O come Hamza Murtaza, operatore video di una società di produzione, Record Media, ucciso il 20 agosto a 32 anni durante un bombardamento alla scuola Hafiz Mustafa della città di Gaza. Stava girando un servizio sugli sfollati.
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Oltre a impedire ai media internazionali di entrare nelle aree delle operazioni belliche, Israele ha preso di mira le sedi di diverse testate. Sul nuovo fronte libanese, il 1 ottobre, aerei israeliani hanno distrutto a sud di Beirut il quartier generale dell’emittente televisiva Al-Sirat, vicina a Hezbollah. Ma è solo l’ultimo caso di quello che sembra un piano di guerra: inchieste giornalistiche, tra cui una di Le Monde, hanno ricostruito la distruzione, avvenuta a Gaza il 19 novembre 2023, della «Casa della stampa», che aveva il sostegno finanziario di Norvegia e Svizzera, e l’uccisione del suo fondatore, Bilal Jadallah, morto durante un attacco israeliano che ha colpito la sua auto. Anche gli uffici di agenzie di stampa internazionali come Afp o Reuters sono stati bersaglio di attacchi in questi mesi.
Un giro di vite contro l’informazione si è verificato nella Cisgiordania occupata, quando a Ramallah, sede dell’Autorità palestinese e quindi teoricamente fuori dal controllo militare israeliano, nella notte del 22 settembre scorso soldati dell’Idf hanno fatto irruzione nella sede di Al-Jazeera ordinando la chiusura degli uffici per 45 giorni, con l’accusa di «sostegno al terrorismo». Un atto simbolico è stato distruggere una gigantografia di Shireen Abu Akleh, giornalista cristiana palestinese uccisa nel maggio 2022 a Jenin da militari israeliani.
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Le attività di Al-Jazeera dentro Israele erano già state interrotte il 5 maggio. Al-Jazeera, come altre emittenti in lingua araba, è da mesi testimone scomoda per l’esercito israeliano dell’invasione di Gaza e delle violazioni del diritto bellico e internazionale, con una vasta audience in tutto il Medio Oriente. L’uccisione stessa di giornalisti è un’altra – tra le tante – violazioni del diritto internazionale. Da qui la necessità di impedire che dalla Striscia esca il minor numero possibile di immagini e di testimonianze.
Diversi giornalisti sono morti, come i loro familiari o vicini di casa, nei bombardamenti, ma alcuni sono stati deliberatamente presi di mira durante lo svolgimento del loro lavoro. Il Cjp ha raccolto informazioni su almeno cinque uccisioni. Un ferimento recente ha riguardato Salma al-Qadoumi, una giovane collaboratrice di diverse testate, tra cui l’agenzia statale turca Anadolu, Afp e Al-Jazeera. Domenica 18 agosto è stata colpita alla schiena da un mezzo blindato israeliano mentre stava lavorando ad Hamad City presso Khan Yunis. Era con altri giornalisti gazesi: tutti si sono buttati a terra quando alcuni mezzi delle forze armate israeliane sono apparsi e hanno fatto fuoco. Al-Qadoumi è stata portata in ospedale da alcuni colleghi che sono riusciti a fuggire incolumi. L’associazione Women Press Freedom, nel denunciare il suo caso, riferisce che sono donne ben 22 delle vittime tra gli operatori dell’informazione.
Ci sono poi gli arresti arbitrari, una cinquantina tra Gaza e la Cisgiordania, le denunce di torture, maltrattamenti e censure. Mentre l’invasione di terra in Libano in questi giorni si sta facendo concreta e si prevede che anche nel Paese dei Cedri ci possano essere attacchi all’informazione.
La Federazione europea dei giornalisti ha chiesto all’Unione Europea di intervenire. «Mentre Israele sostiene che le sue azioni servono a mantenere al sicuro il suo popolo – ha denunciato l’organismo dei sindacati dei media –, la storia dimostra che la censura e la negazione del diritto all’informazione non sono il percorso verso la pace o la sicurezza». (f.p.)