Nella serata di ieri il New York Times, citando tre funzionari iraniani informati sulla questione, ha diramato questa notizia: «La guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha ordinato un attacco diretto contro Israele come rappresaglia per l’assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran, attribuito a Israele». I comandanti militari starebbero prendendo in considerazione un attacco simile a quello di aprile, con l’impiego di droni e missili, evitando probabilmente gli obiettivi civili. Sempre ieri va registrata la dichiarazione del comandante dell’Aeronautica militare d’Israele, il generale Tomer Bar, che durante la cerimonia di consegna dei diplomi del corso per operatori Uav (Unmanned Aerial Vehicles, cioè droni o aeromobili a pilotaggio remoto) ha precisato che lo Stato ebraico si sta preparando ad affrontare qualsiasi scenario in presenza di crescenti minacce da parte dell’Iran o di altri attori regionali. «L’Aeronautica militare si difende e attacca in tutti i teatri di guerra, circondando Israele con decine di velivoli, sia con equipaggio che senza, pronti per qualsiasi scenario in pochi minuti. Agiremo contro chiunque stia pianificando di danneggiare i cittadini israeliani; nessun obiettivo è troppo lontano per essere colpito».
Verso una tragica escalation?
Lo scenario che si sta prospettando in queste ore rischia di essere dei peggiori. Il 30 luglio, in serata, l’attacco israeliano alla roccaforte dei miliziani sciiti filoiraniani nel quartiere Da’aheh a Beirut, in Libano, con la morte di Fuad Shukr, alias Hajj Mohsin, numero due delle milizie di Hassan Nasrallah, e considerato da Israele «responsabile dell’omicidio dei bambini di Majdal Shams». Poi il raid d’Israele a Teheran, con l’uccisione di Ismail Haniyeh, capo di Hamas, nell’edificio nel quale alloggiava nella capitale iraniana. Un messaggio chiaro all’organizzazione terroristica Hamas ma anche e soprattutto all’Iran, da parte delle forze armate d’Israele: nessun obiettivo è impossibile e possiamo colpirvi in ogni momento.
Durante la sua visita in Mongolia, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha affrontato le crescenti tensioni in Medio Oriente dopo l’assassinio del comandante di Hezbollah Fuad Shukr e del capo dell’ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh, affermando che gli Stati Uniti non sono stati infornati di questi raid da parte d’Israele. Ha ribadito che «tutte le parti» in Medio Oriente devono fermare le «occasioni d’escalation» e raggiungere un cessate il fuoco a Gaza, mettendo in guardia da «altri conflitti, altre violenze, altre sofferenze, altre insicurezze: fondamentale interrompere questo ciclo. E questo inizia con il cessate il fuoco su cui stiamo lavorando».
Le dichiarazioni del segretario Usa hanno destato a dire il vero più di un interrogativo negli analisti. Un segno forse che, nella situazione d’interregno tra la fine della presidenza Biden e le elezioni Usa di novembre, il premier israeliano Benjamin Nentanyahu, passato di recente da Washington, sente di avere mano libera anche rispetto a decisioni che potrebbero avere una devastante ricaduta regionale.
La risposta del fronte anti-sionista
Il numero due di Hamas a Gaza Khalil al-Hayya, mentre si svolgevano i funerali del leader di Hamas Ismail Haniyeh presso l’Università di Teheran, presente la guida suprema Ali Khamenei (praticamente in contemporanea con quelli del numero due di Hezbollah a Beirut), ha dichiarato che «se il nemico sionista pensa che uccidere i nostri leader indebolirà la nostra determinazione, si illude. Con questo nuovo crimine, hanno dimostrato ancora una volta al mondo che l’entità sionista è la fonte del male. Il sangue di Haniyeh aprirà la strada all’unità del popolo e alla resistenza per la liberazione della Palestina e di Gerusalemme. Ci impegniamo con la nostra nazione a continuare a resistere all’occupazione sionista fino alla sua fine, a riportare il nostro popolo nella sua terra, a stabilire il nostro Stato e a determinare il nostro destino».
Dello stesso tenore, di fronte a migliaia di persone che hanno partecipato alle esequie, le dichiarazioni del presidente del Parlamento iraniano Mohammad Baqer Qalibaf: «Israele commette un errore strategico se pensa che colpire i leader della resistenza cambierà le cose. Israele ha sbagliato a uccidere Haniyeh. Israele pagherà a caro prezzo la sua aggressione all’Iran».
Domani è venerdì, il giorno della preghiera, ma anche delle manifestazioni nelle piazze del mondo musulmano. Resta da capire, oltre all’impatto popolare che avranno le due «neutralizzazioni», come vengono definite nel freddo gergo militare le morti di Ismail Haniyeh e Fuad Shukr, quale sarà la strategia dell’Iran in risposta a Israele.
Le cancellerie di mezzo mondo, ovviamente, si stanno mobilitando per cercare di scongiurare un’escalation. Ma l’opzione più drammatica e difficile da fronteggiare per lo Stato ebraico, potrebbe essere quella di un attacco coordinato e simultaneo del cosiddetto «Asse della resistenza», la coalizione politica e militare informale a guida iraniana in Asia occidentale e Nord Africa, comprende in particolare la Resistenza islamica in Iraq, il governo siriano, il partito politico e gruppo militante libanese Hezbollah, l’organizzazione politica e militare yemenita Ansar Allah, Hamas e una serie di altri gruppi militanti palestinesi della galassia jihadista.
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