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Egitto, l’enigma della mummia urlante

Giulio Carulli
11 agosto 2024
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Egitto, l’enigma della mummia urlante
Il tempio funerario di Hatshepsut a Deir el-Bahari, in Egitto. (foto Shutterstock.com)

In uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Frontiers in Medicine, la professoressa Sahar Saleem, dell’Università del Cairo, illustra l'esito delle indagini condotte su una mummia di donna vissuta nella zona di Tebe 3.500 anni fa.


Deir el-Bahari (in arabo «Il monastero del mare») sorge sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte alla città di Luxor, in Egitto. La località ospita tre aree funerarie. La prima è costituita dal tempio funerario del sovrano della XI dinastia Nebhepetra Montuhotep, con un grande cortile cintato, in cui fu scavato un corridoio sotterraneo che portava alla tomba (mai utilizzata). Il secondo complesso è il tempio funerario della regina Hatshepsut (1479/3-1458/7 a.C.), opera dell’architetto Senmut. Infine, quello del successore Thutmosis III (1479-25), costituito da un tempio a valle, una rampa processionale e una piattaforma per la barca sacra.

Noti anche come «Templi del milione di anni», sorgono poco lontano da altri monumenti importanti della necropoli tebana: il Tempio funerario di Seti I, quello di Ramses III a Medinet Habu, e il Ramesseum del faraone Ramses II (XIX dinastia).

Nella spianata di Deir el-Bahari sono state ritrovate anche le Tombe dei Nobili, 45 mummie di funzionari di corte, tra cui quella di Senmut, architetto regio cui si deve la costruzione del tempio della regina Hatshepsut (e forse amante di quest’ultima).

Nel complesso di queste Tombe dei Nobili, nel 1935, venne ritrovata in una bara di legno la mummia di una donna di 3.500 anni fa decisamente sui generis, sulla testa una parrucca nera, due anelli a forma di scarabeo in argento e oro sulle dita. A differenza di tutte le altre ritrovate nell’area, la mummia di Deir el-Bahari aveva la bocca spalancata in una smorfia che ricorda l’Urlo di Munch. E a causa di quell’espressione inquietante disegnata sul volto, gli egittologi la soprannominarono «la mummia urlante».

La sua storia è rimasta avvolta nel mistero per quasi un secolo. Di recente, però, le moderne tecnologie hanno permesso di indagare in maniera più approfondita le ragioni di quella strana postura, contraria ad ogni regola d’imbalsamazione in auge nell’Antico Egitto. Lo studio, condotto da un pool di specialisti di varie discipline, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Medicine. Fino al 1998, la «mummia urlante» era stata conservata alla Kasr Al Ainy School of Medicine del Cairo, dove negli anni Venti e Trenta del secolo scorso i ricercatori avevano studiato le mummie di molti reali, tra cui quella di Tutankhamon. Successivamente, era stata trasferita al Cairo presso il Museo Egizio, su richiesta del ministero delle Antichità.

Le indagini sulla mummia sono state condotte da una équipe guidata dalla professoressa Sahar Saleem, ordinario di radiologia presso l’ospedale Kasr Al Ainy dell’Università del Cairo.

Identità ancora da svelare

Intanto, chi poteva essere la «mummia urlante» ritrovata nei pressi della tomba dell’architetto reale Senmut, in una camera funeraria separata? Forse una parente dell’architetto? Una sorella? Finora non sono emersi particolari capaci di dare indicazioni precise sulla sua identità.

Ma scoperta della camera funeraria separata per Hat-Nufer, la madre dell’architetto, e altri parenti non identificati, fa ritenere che appartenesse alla cerchia ristretta dei parenti dell’architetto reale.

Nello studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Medicine, la professoressa Saleem spiega le varie tecniche utilizzate per lo studio delle spoglie, tra cui la tomografia assiale computerizzata (Tac) per «sezionare virtualmente» la mummia, stimarne l’età, identificarne patologie e valutarne lo stato di conservazione. La dottoressa Samia El-Merghani, membro dell’équipe scientifica, è intervenuta nelle ricerche con tecniche avanzate come la microscopia elettronica a scansione (Sem), la spettroscopia infrarossa di Fourier (Ftir) e l’analisi di diffrazione dei raggi X (Xrd).

Tecniche d’imbalsamazione raffinate

Si era ipotizzato, finora, che la stranezza di questa mummia fosse causata da una tecnica d’imbalsamazione per lo meno approssimativa o carente.

«La mummia è stata invece imbalsamata con materiale conservativo costoso e importato. Questa scoperta contraddice l’idea accreditata fin qui che la mancata rimozione dei suoi organi interni sia stata collegata a una scarsa mummificazione», spiega la professoressa Saleem.

Una pagina dello studio pubblicato su Frontiers in Medicine.

Le indagini hanno rivelato che la donna mummificata, priva di bende, giaceva supina con le gambe distese e le mani piegate sopra l’inguine. Mancano diversi denti, persi probabilmente prima della morte, poiché ci sono segni di riassorbimento osseo. «I denti mancanti potrebbero essere stati estratti. L’odontoiatria ha avuto origine nell’antico Egitto, con Hesy Re, il primo medico e dentista registrato al mondo», precisa la professoressa Saleem.

La Tac ha fornito informazioni interessanti: in vita la donna era alta poco più di un metro e mezzo. L’esame della morfologia dell’articolazione tra le due ossa pelviche, che varia con l’età, ha suggerito che avesse circa 48 anni al momento della morte. Soffriva di una lieve artrite della colonna vertebrale, come evidenziato da «speroni ossei» sulle vertebre. L’analisi spettroscopica della pelle ha mostrato che la «mummia urlante» era stata imbalsamata con ginepro e incenso, materiali costosi che dovevano essere importati in Egitto dal Mediterraneo orientale e dall’Africa orientale o dall’Arabia meridionale. I capelli naturali erano stati tinti con henné e ginepro, e la lunga parrucca posta sul capo era stata trattata con cristalli di quarzo, magnetite e albite per irrigidire la chioma e conferire il colore nero, simbolo di giovinezza.

L’enigma dell’espressione

Ma cosa ha causato l’espressione drammatica che ha reso famosa questa mummia in tutto il mondo? La ricchezza e la raffinatezza dei materiali per l’imbalsamazione esclude la possibilità di una negligenza nel processo di mummificazione. Ecco allora l’ipotesi della Saleem: l’espressione facciale della mummia è probabilmente uno spasmo cadaverico. La donna sarebbe morta urlando per l’agonia o il dolore. Lo spasmo cadaverico è una rara forma di irrigidimento muscolare associata a morti violente in condizioni fisiche estreme e in situazioni d’intensa emozione. Sarebbe poi passato del tempo (forse non poco) prima che la salma venisse ritrovata, cosa che ha reso poi impossibile – essendo subentrato il rigor mortis – modificare la posizione della mandibola, e bloccare il mento con le bende come in uso per l’imbalsamazione.

Risulta comunque anomalo il mancato prelievo degli organi. Forse anche in questo caso la situazione particolare del decesso e il tempo trascorso prima del rinvenimento del cadavere, indussero gli addetti alla mummificazione ad agire in maniera diversa dal solito.

Non sapremo mai, probabilmente, per quale ragione e in quale contesto la «signora urlante» si ritrovò di fronte a una morte segnata da dolori tanto lancinanti… Resta, per gli studiosi d’egittologia, la sfida d’indagare ancora, nella speranza di trovare notizie sull’identità di una donna che, spiega la professoressa Saleem, si è rivelata «una vera e propria capsula del tempo». E che ha permesso di scrivere una nuova affascinante pagina nella storia dell’Antico Egitto.


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