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Qatar e Stati Uniti, non tutto fila liscio

Fulvio Scaglione
10 luglio 2024
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I parlamentari di Washington, in un emendamento recentemente introdotto alle norme che finanziano la Difesa, prendono di mira il governo del Qatar, che sarebbe poco deciso nel mettere all'angolo la dirigenza di Hamas...


Al di là delle polemiche sulle uscite di Donald Trump e sulla lucidità di Joe Biden e di una campagna per le presidenziali statunitensi mai così deprimente, si ha spesso la sensazione che ormai sia la politica in generale, negli Usa, ad aver perso un po’ la bussola, come se la critica alla supremazia globale americana, che oggi produce anche azioni concrete e in qualche caso terribili (come l’invasione russa dell’Ucraina), avesse generato un’isteria che fa perdere lucidità.

Il Congresso (Parlamento) Usa si è già segnalato con iniziative improvvide come, per esempio, minacciare di sanzioni i giudici della Corte penale internazionale dell’Aja in caso di condanna del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant per le azioni di Israele nella Striscia di Gaza. O come ipotizzare sanzioni contro il governo della Georgia in caso di approvazione della legge Sulla trasparenza degli agenti stranieri, criticabile fin che si vuole, ma pur sempre legge di uno Stato sovrano approvata da un Parlamento democraticamente eletto.

Adesso i membri del Congresso ne hanno pensata un’altra. Durante il dibattito per l’approvazione della legge sul finanziamento della Difesa nazionale, è stato introdotto un emendamento che, in sostanza, ipotizza la chiusura della base aerea di Al-Udeid, in Qatar, ovvero della più grande base aerea americana in Medio Oriente, nonché quartier generale operativo di tutte le forze statunitensi nella regione, il famoso Centcom. In Qatar, aggiungiamo, sono di stanza circa 10mila soldati americani. La brillante idea dei parlamentari è generata da quella che certe frange politiche americane considerano «l’incapacità» del Qatar (eufemismo per malafede) nel «regolare il rapporto con Hamas», i cui vertici politici risiedono appunto nella capitale Doha. Dove per «regolare» si deve intendere: costringere Hamas ad accettare un accordo con Israele per il cessate il fuoco.

Insieme con l’Egitto, il Qatar è il Paese che più ha lavorato (anche se invano, come almeno per ora i fatti dimostrano) per spingere i belligeranti a una tregua. Non solo: sempre il Qatar fu fondamentale, a suo tempo, per mediare un accordo tra gli Usa, ansiosi di ritirarsi dall’Afghanistan, e i talebani, ansiosi di riprenderselo. Cosicché la risposta dell’ambasciata qatariota a Washington è stata fredda e puntuale: «Incolpare e minacciare il mediatore non è costruttivo, soprattutto quando l’obiettivo è un amico e un importante alleato non Nato».

Parte dei sospetti americani deriva dal fatto che il regime del Qatar da sempre sostiene la Fratellanza Musulmana, di cui Hamas è una diramazione. Ma è così da sempre. Ed era già così nel 2012, quando Hamas, entrato in conflitto con il regime degli Assad in Siria, spostò la propria sede da Damasco, appunto, a Doha. La cosa non ha impedito agli Usa di trovare un accordo sulla base militare di Al-Udeid. Per non parlare del fatto che tutto andava benissimo quando il Qatar finanziava i movimenti del terrorismo islamista che colpivano in Siria.

Un’ultima cosa: la bozza della legge ora discussa al Congresso statunitense cerca anche di dare un quadro organico all’assistenza che gli Usa stanno fornendo a Israele perché possa trovare e uccidere i leader di Hamas. Nella bozza si chiede al Pentagono di fornire al Congresso informazioni ogni 90 giorni sullo stato del sostegno fornito a Israele. Nel frattempo i servizi segreti di Usa e Israele hanno allargato le ricerche di Yahya Sinwar, il capo militare di Hamas che organizzò le stragi del 7 ottobre 2023. Prima si pensava che Sinwar fosse ancora a Gaza, ora si cerca di rintracciarlo anche nel Sinai egiziano, in Libano e in Siria.

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