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L’archeologia, piccone dell’annessione in Cisgiordania

Cécile Lemoine
24 luglio 2024
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L’archeologia, piccone dell’annessione in Cisgiordania
Israeliani in visita al sito archeologico di Sebastia, presso Nablus nella Cisgiordania occupata. (foto Flash90)

Un disegno di legge che autorizzerebbe l’Autorità israeliana per le antichità a operare in Cisgiordania sta preoccupando il mondo dell’archeologia. Contraria al diritto internazionale, la decisione corrisponderebbe a un’annessione di fatto di alcune parti dei Territori palestinesi.


Anche se potrebbe essere un piccolo dettaglio, qui significa molto. Il 10 luglio, la Knesset, il parlamento di Israele, ha adottato con un voto preliminare alcuni emendamenti alla Legge sulle antichità, che autorizzerebbe l’Autorità israeliana per le antichità (Aia) a operare in Cisgiordania.

Che cosa dice il progetto di legge?

«Sebbene le regioni della Giudea e della Samaria siano la culla della nazione ebraica e nonostante la presenza di reperti archeologici di importanza nazionale e internazionale di varie epoche, l’attuale versione della Legge sulle antichità non si applica a queste regioni», si rammarica la nota esplicativa del progetto di emendamento alla Legge, promossa dal deputato Amit Halevi del partito Likud.

Secondo il testo, «questi ritrovamenti archeologici appartengono al popolo di Israele» e quindi non hanno «alcun legame storico o di altro tipo con l’Autorità palestinese». Ciò rende possibile che un’autorità nazionale, l’Aia, possa operare in Cisgiordania allo stesso modo che nello Stato di Israele.

Perché parliamo di annessione?

Attualmente, la Legge sulle antichità non si applica alla Cisgiordania. Nel territorio occupato militarmente dal 1967, la responsabilità dei siti archeologici spetta al responsabile archeologico dell’amministrazione civile («Kamat», secondo l’acronimo ebraico), sotto il controllo dell’esercito israeliano. In teoria, le leggi interne di Israele non possono trovarvi applicazione. Questi territori, che per gli ebrei corrispondono alla Giudea e alla Samaria bibliche, sono ricchi di tesori archeologici risalenti a tutti i periodi della storia.

Se adottato in via definitiva, questo trasferimento di poteri dall’esercito a un’istituzione governativa corrisponderebbe a un’annessione di fatto, vietata dal diritto internazionale. «La legislazione riflette una campagna politico-archeologica condotta da gruppi ideologici e messianici che mescolano patrimonio, appartenenza culturale e supremazia etnica», denuncia l’ong israeliana Emek Shaveh, in un documento pubblicato il 9 luglio. «Il suo obiettivo di fondo non è di risolvere un problema professionale, ma di promuovere l’annessione della Cisgiordania. Gli emendamenti ridurrebbero l’archeologia a una semplice arma politica, priva di significato».

Perché questa proposta di legge adesso?

L’arrivo al potere nel gennaio 2023 di una coalizione di destra radicale e religiosa ha accelerato il progetto coloniale nei Territori palestinesi. Le misure si susseguono a un ritmo senza precedenti: legalizzazione e creazione di colonie, approvazione di migliaia di unità abitative, esproprio di terre, trasferimento di poteri dall’amministrazione civile dell’esercito ai coloni…

L’archeologia è solo uno strumento aggiuntivo per rafforzare il controllo israeliano nei Territori palestinesi occupati, con il pretesto di «salvaguardare le antichità»: i palestinesi sono regolarmente accusati di saccheggio e deterioramento dei siti archeologici. Alla fine di giugno, il Gabinetto di guerra ha così autorizzato l’amministrazione civile israeliana ad adottare misure coercitive sul patrimonio e sui siti della zona B: la decisione riguarda i siti di Sebastia, Shiloh, Susiya e persino il Monte Ebal. Una «misura punitiva» adottata in totale violazione degli accordi di Oslo II.

Quali sono le reazioni?

Nel mondo dell’archeologia israeliana, sebbene tradizionalmente allineato alle politiche del governo, c’è un’opposizione diffusa: «Questo disegno di legge è un palese tentativo di sfruttare l’archeologia per portare avanti una particolare agenda politica (…) in violazione del diritto internazionale», denuncia l’Associazione archeologica israeliana in una lettera dell’8 luglio in cui si chiede di fermare l’iter legislativo: «Siamo preoccupati per il cambiamento dello status quo e per le conseguenze di questo disegno di legge sull’archeologia israeliana».

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Il principale interessato, il direttore generale dell’Autorità israeliana per le antichità, Eli Escozido, si oppone fermamente a questi emendamenti a causa della loro illegalità e afferma di non essere stato consultato a riguardo. «È difficile per noi accettare il fatto che una questione così importante non sia stata affatto discussa con gli operatori del settore», protesta Guy Stibel, presidente del Consiglio archeologico, in una lettera indirizzata al ministro del Patrimonio, Amihai Eliyahu.

L’archeologo, specialista del sito di Masada, inoltre ritiene che l’Autorità per le antichità «non disponga di alcun rimedio» e non sarebbe più indicata dell’amministrazione civile per proteggere e gestire i ritrovamenti archeologici, sottolineando che il problema deriva soprattutto da una mancanza di risorse umane e finanziarie.

Venerdì 19 luglio anche la Corte internazionale di giustizia ha stabilito, in uno storico parere consultivo, che l’occupazione militare israeliana è «illegale», che lo Stato ebraico sta imponendo una «annessione» a Gerusalemme Est e a parte della Cisgiordania, in particolare attraverso lo «sfruttamento delle risorse naturali» e «l’estensione del suo diritto interno». I giudici hanno sottolineato che «queste politiche e pratiche sono destinate a rimanere in vigore indefinitamente e a creare effetti irreversibili sul campo».

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