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Il piano Usa in tre fasi non spegne la guerra a Gaza

Giampiero Sandionigi
11 luglio 2024
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Il piano Usa in tre fasi non spegne la guerra a Gaza
Striscia di Gaza, 1 luglio 2024. Uno scenario di devastazione dopo i bombardamenti subiti dalla città di Khan Yunis. (foto Abed Rahim Khatib/Flash90)

Con un voto quasi unanime, Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 10 giugno scorso ha fatto sua la proposta elaborata da Washington per la pace a Gaza inserendola nella risoluzione 2735 (2024). Le tre fasi ipotizzate.


Non è bastato il sì quasi unanime del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a dare ali al piano degli Stati Uniti per spegnere la guerra in corso da oltre otto mesi nella Striscia di Gaza. Con la sola astensione della Russia, l’organo delle Nazioni Unite il 10 giugno scorso ha fatto sua la proposta elaborata da Washington inserendola nella risoluzione 2735 (2024). Il piano può funzionare solo con il consenso di Israele e Hamas che si rimpallano la responsabilità del rifiuto. Tre le fasi previste. Nella prima, che dovrebbe durare sei settimane (o di più se le due parti hanno bisogno di più tempo negoziando in buona fede), dovrebbe esserci un cessate il fuoco immediato, completo e totale con il rilascio degli ostaggi più fragili (donne, anziani e feriti) e la restituzione delle spoglie degli ostaggi morti. Contestualmente gli israeliani dovrebbero rilasciare un certo numero di detenuti palestinesi e ritirare le truppe dalle aree popolate della Striscia di Gaza, i cui residenti dovrebbero poter rientrare nei luoghi di abituale residenza. Il problema fondamentale a riguardo è che molte abitazioni non esistono più e, soprattutto nel nord della Striscia, gli impianti elettrici, idrici e fognari in molti quartieri sono stati totalmente distrutti. Al contempo dovrebbe essere assicurata una distribuzione efficace degli aiuti umanitari nella Striscia, comprese unità abitative (tende? container?) fornite dalla comunità internazionale. Nella fase due dovrebbero cessare in modo permanente le ostilità in cambio del rilascio di tutti gli altri ostaggi ancora vivi e detenuti a Gaza, a fronte del ritiro completo delle forze israeliane. La terza fase è la più lunga, vaga e proiettata nel futuro: prevede l’avvio di un piano di ricostruzione pluriennale della Striscia e la restituzione dei resti di israeliani e altri ancora a Gaza alle loro famiglie (il riferimento è ad alcuni israeliani, militari e civili, già trattenuti, o uccisi, nella Striscia ben prima del 7 ottobre 2023). Nella sua risoluzione, il Consiglio di Sicurezza aggiunge il rigetto di qualsiasi tentativo di alterare il profilo demografico o territoriale nella Striscia di Gaza o di ridurne il territorio, cosa che contrasta con gli auspici dei politici e ministri israeliani più estremisti.

L’Onu ha chiesto alle parti implicate nel conflitto di dare immediata applicazione alla risoluzione 2735, ma non è andata così. Hamas e il governo di Israele hanno molte ragioni per non credere alla buona fede e alla buona volontà gli uni degli altri. E, soprattutto, considerano decisiva ed esiziale la propria battaglia. Il che non predispone a scendere a patti. In Israele, intanto, per divergenze sulla conduzione della guerra, il 9 giugno si è dimesso dal governo Benny Gantz che aveva assicurato al premier Benjamin Netanyahu l’appoggio del proprio partito (Unità nazionale) dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. La decisione di Gantz non ha fatto cadere il governo, che mantiene la maggioranza in parlamento. Il primo ministro si è limitato a sciogliere il gabinetto di guerra, nel quale era affiancato da Gantz e dal ministro della Difesa Yoav Gallant. Molti dentro la società israeliana rimproverano a Netanyahu di prolungare il conflitto per garantire la propria sopravvivenza politica. Lui reputa la guerra inevitabile e giusta, per distruggere Hamas e difendere legittimamente la sopravvivenza di Israele, attaccato su più fronti (anche da Libano, Siria, Yemen e Iran).

Concetti analoghi esprime l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede, in una secca replica a una riflessione della Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, pubblicata il 30 giugno con il titolo Guerra giusta? Rifacendosi alla teologia morale cattolica, Giustizia e Pace evidenzia che è piuttosto difficile considerare giusto un conflitto moderno, per i gravissimi danni che causa. «Le guerre giuste – dice il documento – devono chiaramente distinguere tra civili e combattenti, un principio che è stato ignorato in questa guerra da entrambe le parti [Hamas e Israele – ndr] con risultati tragici. Le guerre giuste devono anche impiegare un uso proporzionato della forza, cosa che non si può facilmente dire di una guerra in cui il bilancio delle vittime palestinesi è di decine di migliaia di persone superiore a quello di Israele, e in cui una chiara maggioranza delle vittime palestinesi erano donne e bambini».

Terrasanta 4/2024
Luglio-Agosto 2024

Terrasanta 4/2024

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