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In una sera di giugno scintille di pace a Gerusalemme

Vianney Buguet
5 giugno 2024
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In una sera di giugno scintille di pace a Gerusalemme
3 giugno 2024, per le vie di Gerusalemme Ovest un gruppo si snoda la Marcia interreligiosa per i diritti umani e per la pace. (foto MAB/TSM)

Quarantott'ore prima del Jerusalem Day e della sua Marcia delle bandiere, provocatoria iniziativa degli ebrei estremisti, l'ong «Rabbini per i diritti umani» ha promosso una marcia interreligiosa alternativa e per la pace. Poche centinaia i partecipanti, per nulla demoralizzati.


Lo scorso lunedì 3 giugno 2024, poco prima del tramonto, alcune centinaia di manifestanti per la pace hanno marciato a Gerusalemme, pregando e cantando insieme in ebraico, tra Zion Square (uno slargo di Jaffa Street, nella zona occidentale della città) e la Porta di Jaffa (il principale varco d’ingresso da ovest alla città vecchia). Nonostante la guerra in corso nella Striscia di Gaza, su impulso dell’organizzazione umanitaria Rabbini per i diritti umani (Rabbis for Human Rights), una dozzina di associazioni hanno voluto, per il secondo anno consecutivo, dar vita a questo evento 48 ore prima del Jerusalem Day (con la sua Marcia delle bandiere), in calendario il 5 giugno.

Per i diritti umani e per la pace

«La nostra marcia si svolge pochi giorni prima della Marcia delle bandiere, che spesso incita alla divisione e alla violenza (tra ebrei e arabi – ndr). Noi intendiamo offrire un’alternativa chiara e positiva: un’alternativa di cooperazione e unità, mettendo in luce quell’umanità che ci accomuna», recitava l’invito a partecipare pubblicato su Facebook.

Sarah, un’ebrea israeliana sulla cinquantina, motiva così la sua presenza: «Questa settimana in Israele celebriamo la riunificazione di Gerusalemme con la guerra del 1967. In questa occasione è importante dimostrare che ci siamo anche noi e che il campo della pace è ancora presente. I nostri politici parlano spesso della vittoria finale; io lotto per la pace definitiva!». In genere il comportamento dei manifestanti che ogni anno danno vita alla Marcia delle bandiere costituisce per i palestinesi una provocazione che gli attivisti pacifisti disapprovano.

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Tra gli ebrei che hanno camminato e pregato insieme il 3 giugno, si notava nel corteo la presenza di collarini del clero cattolico, di stole e addirittura di kefiah e fez di qualche sceicco musulmano o druso.

Durante l’evento, che ha visto un numero di partecipanti doppio rispetto all’anno precedente, sono saliti sul palco molti attivisti per la pace: i rabbini Oded Mazum e Avi Dabush – quest’ultimo direttore esecutivo di Rabbis for Human Rights e lui stesso sopravvissuto agli eccidi del 7 ottobre 2023 nel kibbutz Nirim –, il rabbino Tamar Elad-Appelbaum, che ha alternato le preghiere con Ibtisam Mahameed, fondatrice dei Jerusalem Peacemakers (gli Artigiani di pace di Gerusalemme), lo sceicco musulmano Hassan Abu Aliyun e David Goren, ebreo convertito al buddhismo.

A nome dei cristiani, è stato invitato a parlare in piazza Sion padre Piotr Zelazko, vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica. Il sacerdote polacco ha concluso il suo intervento recitando il Padre nostro in ebraico.

Stare insieme si può

Tutti hanno affermato il loro desiderio di costruire una società in cui le diverse comunità possano vivere in armonia.

Nel contesto della guerra a Gaza, le divisioni politiche stanno diventando più acute all’interno della società israeliana. Yael, giovane pacifista ventenne, offre una lettura religiosa della situazione molto diversa da quella degli estremisti ebrei: «La ricerca della pace fa parte della mia fede di ebrea ortodossa. Se gli estremisti ci sputano addosso è perché hanno paura, paura degli altri e paura della convivenza. A livello personale, il 7 ottobre ha rafforzato le mie convinzioni a favore della pace. Se non si troverà una soluzione, tragedie come quella del 7 ottobre o la guerra di Gaza sono destinate a ripetersi. Sono anni che cerchiamo di risolvere questo conflitto attraverso la guerra e non funziona». Questo punto di vista è stato ripreso nell’intervento di Maoz Inon, un ebreo israeliano i cui genitori sono stati assassinati il 7 ottobre. Anche per lui la pace è più necessaria che mai.

La multicolore testa della marcia in prossimità della Porta di Jaffa a Gerusalemme. (foto Yonatan Sindel/Flash90)

«Chiedo rispetto e dignità. Come ha detto Gesù, figlio di Maria, amatevi gli uni gli altri. Amatevi come un solo popolo. Possa Dio riempire i nostri cuori d’amore», ha ricordato lo sceicco druso Junis Amasha. Leah Shakdie, una rabbina israeliana, ha denunciato l’uso della religione per giustificare la guerra: «Strumentalizzare la religione per giustificare la violenza è un peccato grave», ha osservato.

Raggiunta la Porta di Jaffa, i manifestanti – tra le 200 e le 300 persone – si sono salutati dopo aver ascoltato la commovente esibizione del Coro giovanile di Gerusalemme, composto da ragazzi e giovani israeliani e palestinesi.

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