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Il 28 giugno iraniani alle urne per il nuovo presidente

Elisa Pinna
27 giugno 2024
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Gli elettori iraniani vanno ai seggi domani, 28 giugno 2024, per il primo turno delle presidenziali. Sono tre (su sei) i candidati veramente in lizza per l'alta carica: due conservatori e un riformista. Scopriamo di chi si tratta.


Domani, 28 giugno 2024, gli iraniani votano per eleggere un nuovo presidente della Repubblica, dopo la scomparsa improvvisa dell’ayatollah Ibrahim Raisi, morto nello schianto dell’elicottero su cui viaggiava il 19 maggio scorso.

Stavolta le elezioni non sono state blindate dal Consiglio dei Guardiani, organismo giuridico religioso che ha il potere di selezionare i candidati in corsa per il ruolo di presidente, ovvero la seconda figura nella catena di potere iraniana, dopo la Guida Suprema (l’ayatollah Ali Khamenei). Nel 2018, attorno al conservatore Raisi era stato creato il vuoto, eliminando qualsiasi concorrente che potesse costituire il minimo pericolo. Il risultato era stata sì l’elezione del prescelto, ma a costo di un astensionismo record, ben oltre il 50 per cento dell’elettorato. Si era trattato di un rumoroso campanello d’allarme sullo scollamento esistente ormai tra la società civile e il regime.

Per evitare una situazione ancora peggiore di quella del 2018, il Consiglio dei guardiani ha allargato le maglie ed ha ammesso tra i candidati un riformista, consentendo agli elettori di scegliere tra posizioni diverse, pur all’interno di un perimetro circoscritto.

Sulla scheda gli elettori troveranno sei nomi, ma a giocarsi la partita sono in tre, due conservatori e un riformista, tutti laici. Già questo è un dato da sottolineare, perché nella storia iraniana dal 1979 ad oggi, con l’eccezione del radicale, populista e nazionalista Mahmoud Ahmadinejad, tutti i presidenti provenivano dal clero islamico.

Il primo dei candidati in lizza – ed anche quello dato inizialmente per favorito – è l’ex sindaco di Teheran e attuale presidente del parlamento, il sessantaduenne Mohammed Bagher Ghalibaf. È un conservatore tecnocrate, aperto alla modernizzazione del Paese, allineato con la Guida Suprema, e al tempo stesso amico di molti imprenditori occidentali. Ha un curriculum prestigioso per gli standard della Repubblica islamica: è stato comandante della Guardie rivoluzionare durante la guerra Iran-Iraq, e capo della polizia. Tuttavia su di lui sono emerse accuse di corruzione e critiche per la scelta dei figli di studiare e vivere negli Stati Uniti.

Il secondo candidato conservatore, Saeed Jalili, 58 anni, è considerato un falco, portavoce delle fazioni più radicali del Paese. Veterano della guerra Iran-Iraq, è stato responsabile della sicurezza nazionale e capo dei negoziatori iraniani nella trattativa sul nucleare dal 2007 al 2013, ovvero sotto la presidenza di Ahmadinejad. Si oppone a qualsiasi riavvicinamento con gli Stati Uniti e ritiene che l’Iran possa andare avanti, senza piegarsi a nuove trattative e aggirando le sanzioni economiche.

Infine, il terzo candidato è il riformista Masoud Pezeshkian, un politico e chirurgo di 69 anni. Il termine riformista, in Iran, si riferisce ad una fase storica ben precisa, quella del governo di Mohammed Khatami, presidente dal 1997 al 2005, che tentò di avviare una politica di dialogo e di collaborazione con l’Occidente, di promuovere un mercato libero e aperto agli investimenti stranieri, di sostenere diritti civili, come la libertà di espressione. L’esperimento fallì sia per il boicottaggio interno sia perché Stati Uniti ed Europa non fecero da sponda al presidente iraniano. Di quel governo, Masoud Pezeshkian fu ministro della Sanità. In campagna elettorale, il candidato riformista ha evitato di attaccare i poteri profondi dello Stato (che travolsero l’esecutivo di Khatami), né ha voluto rispondere a domande sulla sua posizione riguardo al velo obbligatorio per le donne. Tuttavia non ha nascosto la sua opposizione dura ad ogni politica di stampo radicale e conservatore.

È improbabile che il 28 giugno uno dei tre si imponga già come presidente, ottenendo una maggioranza assoluta nel primo turno elettorale. I sondaggi della vigilia sono ondivaghi e contradditori: la partita è aperta. Già questa, visti i tempi, è una novità positiva. Al ballottaggio del secondo turno potrebbero andare entrambi i conservatori o – secondo diversi osservatori – il più votato tra Ghalibaf (in discesa) e Jalili (in crescita) e il riformista Pezeshkian. Molto dipenderà dall’affluenza alle urne.

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