Il sottosuolo della Terra Santa è ancora pieno di segreti. Scavate e troverete sicuramente. Dopo la scoperta nel 2022 di due moschee risalenti a dodici secoli fa, gli archeologi incaricati degli scavi preventivi a Rahat, nel nord del deserto del Neghev, hanno portato alla luce una piccola chiesa di epoca bizantina del IV-VI secolo d.C.
Sono stati trovati sulle pietre dei suoi muri alcuni graffiti. In particolare, due disegni di barche, realizzati quasi 1.500 anni fa. La prima sembra essere una veduta aerea di un’imbarcazione di cui si distinguono chiaramente i remi. La seconda rappresenta una nave a due alberi che sfoggia una vela conosciuta come «artemon».
Una prima tappa
Questi graffiti di navi non sono i primi a essere stati lasciati nelle chiese della Terra Santa. La più nota è quella della cappella di San Vartan nella basilica del Santo Sepolcro, scoperta nel 1971: un veliero romano accompagnato da un’iscrizione in latino «Domine ivimus», traducibile con «Signore, siamo venuti». Gli specialisti ritengono che si tratti del graffito più antico lasciato dai cristiani che venivano a Gerusalemme per avvicinarsi il più possibile alla tomba di Gesù, allora seppellita sotto il tempio di Adriano.
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Considerati come atti di vandalismo, i graffiti sono rimasti a lungo nell’ombra della ricerca accademica. Solo di recente, parallelamente allo sviluppo della street art, gli storici hanno compreso la ricchezza nascosta dietro queste pratiche scritturali, che assumono un significato molto particolare nei luoghi di pellegrinaggio.
Il Neghev bizantino
A Rahat le iscrizioni testimoniano «la storia dell’insediamento nel Neghev settentrionale alla fine del periodo bizantino e all’inizio del primo periodo islamico», precisa il comunicato stampa dell’Aia. Dopo l’annessione del regno nabateo da parte dell’Impero romano nell’anno 106, la regione conobbe un periodo d’oro, sotto la guida di agricoltori cristiani stabilitisi in centri nabatei che furono trasformati in città, ciascuna dotata di una propria chiesa o più di una: Haluza, Shivta, Avdat, Nitzana, Mamshit, Rehovot-nel-Neghev e Khirbet Sa’adon.
Grazie a ingegnose tecniche di irrigazione, fecero «fiore il deserto» e si specializzarono nella produzione del vino. Dopo tre secoli di prosperità, queste città furono abbandonate, per ragioni che rimangono ancora oggi misteriose. Guy Bar-Oz, bioarcheologo dell’Università di Haifa, ha condotto negli ultimi anni ricerche innovative sulla storia dell’industria vinicola nel deserto del Neghev.
Studiando i semi d’uva rinvenuti nelle antiche discariche, nel 2020 ha dimostrato come questa industria fosse scomparsa a causa della peste, dei terremoti e della depressione economica, e non, come si pensava in precedenza, a causa della proibizione musulmana di consumare alcol.
Le scoperte fatte a Rahat saranno presentate presso la sala culturale del municipio della città, che è il principale centro beduino in Israele, nel corso di una conferenza aperta al pubblico e che si terrà il 6 giugno 2024.
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