Il governo di Pedro Sanchez aveva anticipato da tempo questo passo simbolico e non si è mosso da solo: anche la Norvegia (che non fa parte della Ue) e l’Irlanda hanno riconosciuto lo Stato palestinese. La decisione, duramente condannata da Israele, rispecchia le posizioni molto critiche che Madrid e Dublino hanno rispetto all’invasione israeliana della Striscia di Gaza.
Probabilmente altri Paesi dell’Unione europea seguiranno: sulla questione i 27 si muovono in ordine sparso. Sulla guerra tra Israele e Hamas l’Europa mostra la massima varietà di posizioni, retaggio di una storia complessa. Questo esempio di disunità, in una delle questioni più intricate della politica estera, porta l’Unione europea a non avere capacità di influire sugli eventi mediorientali, anche se il riconoscimento da parte di un Paese grande come la Spagna costituisce un’ulteriore pressione sul governo israeliano.
Fino al 28 maggio 2024, solo 9 Paesi della Ue su 27 riconoscevano la Palestina come Stato. Gli altri mantengono relazioni (consolari o di altro genere, comunque stabili) con l’Autorità palestinese e tutti ufficialmente auspicano accordi diplomatici tra palestinesi e israeliani e appoggiano la soluzione dei due Stati.
Cronologia di un riconoscimento
Nel novembre 1988, a seguito della dichiarazione di indipendenza della Palestina proclamata dall’allora leader dell’Olp Yasser Arafat, quasi una novantina di Paesi membri dell’Onu riconobbero ai palestinesi il diritto ad avere un proprio Stato. Di fatto, i palestinesi non avevano alcun controllo dei Territori occupati, controllo che arrivò solo parzialmente dopo gli accordi di Oslo del 1993. Ma quel passaggio diplomatico fu una spinta simbolica data da Paesi che non appartenevano al blocco occidentale (arabi, africani, asiatici) e quindi erano meno legati a Israele.
Tra questi vi erano i Paesi del blocco sovietico, compresi alcuni Stati che oggi sono membri dell’Unione europea: Polonia, Cecoslovacchia (oggi Cechia e Slovacchia), Ungheria, Romania e Bulgaria. Con loro, votarono per la Palestina le isole mediterranee di Cipro e Malta, Paesi non allineati e oggi membri della Ue. Nell’ottobre 2014 si aggiunse la Svezia. In altri Stati dell’Unione, come l’Italia nel 2015, Belgio, Francia, Grecia e Portogallo, i parlamenti hanno via via sollecitato i governi a procedere con il riconoscimento, ma il numero dei Paesi era rimasto a 9 fino a oggi.
L’Autorità palestinese nel 2011 fece domanda all’Onu di essere ammessa come Paese membro, ma gli Usa posero il veto in Consiglio di Sicurezza bloccando il procedimento di ammissione.
Il 29 novembre 2012 l’Assemblea generale approvò con una maggioranza schiacciante (138 a 9) il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro. Tra i contrari, oltre a Israele e Usa, anche la Cechia. All’epoca i Paesi Ue erano 27 come oggi (inclusa la Gran Bretagna ed esclusa la Croazia): 14 furono a favore, 12 si astennero.
→ Leggi anche: La Santa Sede «saluta con favore» il voto all’Onu sullo Stato di Palestina
Fu già allora un segno di difformità nelle posizioni europeei rispetto al conflitto tra israeliani e palestinesi. Gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 e la devastante invasione di Gaza hanno cambiato lo scenario, ma l’Europa su questo fronte ha continuato a non trovare una posizione unanime. La Germania è, per ovvie ragioni storiche, in difesa di Israele, cui ha fornito il 30 per cento delle armi che importa lo Stato ebraico (il resto arriva dagli Usa). La Cechia, ma anche Austria e Ungheria, sono diplomaticamente allineate con le posizioni del governo di Netanyahu. Sul lato opposto, i governi più attenti alle sofferenze dei civili di Gaza, trascinati dalla Spagna, ma anche dalla Francia – il Paese della Ue con il maggior numero di musulmani –, hanno assunto le posizioni diplomatiche più nette per il cessate il fuoco. In mezzo l’Italia, che in sede Onu in questi mesi si è astenuta in tutte le votazioni più importanti.
La Palestina all’Onu oggi
Nelle occasioni recenti in cui si è votato alle Nazioni Unite sulla questione israelo-palestinese i 27 si sono mossi in ordine sparso, anche con esiti contraddittori.
Dopo gli attacchi di Hamas e l’inizio dell’invasione della Striscia di Gaza, l’Assemblea generale dell’Onu, che riunisce 193 Stati del mondo, ha votato il 27 ottobre per una tregua immediata e la cessazione delle ostilità con 121 voti a favore e 14 contrari. Dei 27 Paesi Ue, 8 hanno votato a favore, 4 contro (Austria, Cechia, Croazia e Ungheria) e 15 si sono astenuti. Il successivo voto dell’Assemblea generale per un immediato cessate il fuoco (12 dicembre) è passato con 153 a favore e 10 contrari. Dei 27 Paesi Ue, 17 si sono detti a favore, 2 contro (Austria e Cechia) e 8 astenuti.
Il 10 maggio scorso l’Assemblea, forzando un po’ la Carta delle Nazioni Unite e dichiarando che ciò non può essere considerato un precedente, ha votato per concedere «diritti e privilegi aggiuntivi» all’Autorità palestinese di Ramallah. La Palestina diventa così un «quasi-membro» dell’Assemblea, anche se resta priva del fondamentale diritto di voto.
L’Assemblea ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di esaminare nuovamente, accogliendola, la richiesta della Palestina di divenire Stato membro, ma ciò può avvenire solo a condizione che nessuno dei 5 Stati con potere di veto nel Consiglio di Sicurezza blocchi l’ammissione (gli Usa hanno subito riconfermato la loro contrarietà). Il voto dell’Assemblea è passato con 143 sì e 9 no, tra cui Cechia e Ungheria. Due Paesi che nel 1988 riconobbero alla Palestina il diritto di diventare uno Stato, ma che oggi non vogliono estendere le competenze di cui godono i palestinesi come Paese osservatore nell’Onu.
La piena appartenenza della Palestina all’Onu resta comunque bloccata: l’ultimo tentativo di ammetterla, fatto lo scorso 18 aprile dai 15 membri del Consiglio di Sicurezza, ha visto il voto favorevole di 12 Stati (tra cui Francia, Malta e Slovenia, che quest’anno sono i Paesi della Ue in Consiglio) e 2 astenuti. Contrari gli Usa.
Dal 7 ottobre 2023 in poi, per tre volte il Consiglio di Sicurezza è riuscito ad approvare una risoluzione su Gaza; il 15 novembre 2023 (ris. 2712) ha chiesto pause umanitarie e l’istituzione di corridoi umanitari a Gaza; il 22 dicembre (ris. 2720) ha chiesto maggiori aiuti per la popolazione e il 25 marzo 2024 ha chiesto un immediato cessate il fuoco durante il mese di Ramadan, già in corso, e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi. Questa risoluzione (n. 2728) ha ricevuto l’approvazione di 14 membri, mentre gli Usa si sono astenuti. In tutti questi voti gli europei in Consiglio di Sicurezza (la Francia che è membro permanente, Malta e, quest’anno anche la Slovenia a rotazione) non hanno mancato di dare appoggio alla popolazione civile.
Tuttavia, anche le decisioni del Consiglio di Sicurezza, cioè l’organismo più importante dell’Onu, non hanno avuto attuazione.
La decisione presa da Spagna, Irlanda e Norvegia di riconoscere la Palestina può indurre altri Stati a seguire la stessa strada per favorire una soluzione del conflitto. Ma la Ue, che prende le decisioni di politica estera all’unanimità e i cui Stati non cedono i loro poteri a un’autorità centrale, non è ancora in grado promuovere una politica comune, restando spettatrice – come nelle guerre in Iraq, in Siria o in Libia – delle tragedie mediorientali. (f.p.)
Ti ringraziamo per aver letto fin qui…
Se vuoi, puoi sostenere concretamente
il servizio che offriamo con Terrasanta.net
Un aiuto, anche piccolo, per noi è prezioso.
Dona ora