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Perché l’Ue lancia un salvagente all’Egitto

Fulvio Scaglione
28 marzo 2024
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La questione dei flussi di migranti tra le opposte sponde del Mediterraneo non sembra poi così centrale negli accordi economico-finanziari da poco conclusi tra Unione europea ed Egitto. Conta di più evitare che l'economia egiziana vada del tutto a gambe all'aria. Scopriamo il perché.


Nelle scorse settimane l’Unione europea ha siglato un accordo per garantire all’Egitto finanziamenti per 7,4 miliardi di euro, così ripartiti: 5 miliardi di prestiti; 1,8 miliardi di investimenti; 600 milioni di sovvenzioni, per un terzo destinate alla gestione dei flussi migratori. Si tratta, in prima battuta, di un intervento d’urgenza per sostenere la più che pericolante economia egiziana, ma anche del tentativo di instaurare un partenariato strategico con un Paese fondamentale per gli equilibri dell’Africa del Nord e del Mediterraneo. E pazienza se si tratta di uno di quei regimi autoritari (60 mila prigionieri politici secondo Human Rights Watch) che fanno a pugni con la scala di valori che la Ue da sempre propugna.

L’economia egiziana sta sprofondando per il malfunzionamento del modello di capitalismo di Stato che i militari, veri detentori del potere economico nazionale, hanno applicato in questi ultimi anni. In sostanza, i generali-manager hanno avviato una serie di faraonici progetti che hanno preteso di finanziare a debito, e nello stesso tempo hanno continuato a comprare armi senza risparmio. E di questa corsa alla spesa senza freni hanno beneficiato soprattutto le aziende di quell’Europa che ora corre in soccorso del presidente Abdel Fattah al-Sisi e dei suoi debiti, cercando appena di coprirsi con la foglia di fico dei problemi dei migranti, che sono reali ma certo non costituiscono il fulcro del problema.

Qualche esempio. Nel 2015, due anni dopo la presa di potere del generale al-Sisi, è stato lanciato un grande piano per la costruzione di centrali elettriche. Valore del progetto: 6,5 miliardi. Debito contratto in prestiti bancari: 4,1 miliardi. Principale appaltatore: la multinazionale tedesca Siemens. Risultato: ancora l’anno scorso i tagli alla fornitura di energia elettrica erano ricorrenti. Altro giro, altro progetto: un sistema di ferrovia ad alta velocità per collegare il Mar Rosso al Mediterraneo. Spesa prevista: 23 miliardi. Contratto firmato con Siemens nel maggio del 2022, quando la crisi del debito già cominciava a farsi sentire.

Per non parlare delle armi. Nel 2019-2020 la spesa egiziana per la Difesa ha raggiunto la cifra di 16 miliardi. Contratti con Francia (due tranche di acquisto degli aerei da combattimento Rafale, una nel 2015 per 5,9 miliardi e una nel 2021 per 4,5 miliardi), Italia, Germania, in gran parte finanziati a debito. Il tutto mentre il tasso di povertà della popolazione egiziana, che già era del 30 per cento nel 2019, non smette di crescere. In sostanza, la folle politica economica dei generali del Cairo, con il sistema delle opere realizzate (o non realizzate) sulla base di prestiti, sta generando un grande trasferimento di denaro dall’Egitto alle aziende e alle banche europee. Ovvio che di fronte alla prospettiva di un default, l’Ue corra al soccorso, tamponando i buchi più immediati. Con qualche briciola ai migranti, per le pubbliche relazioni.

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