Nei 22 anni di detenzione del marito, ergastolano in Israele, l'avvocata Fadwa Ibrahim Barghouti ha perorato instancabilmente la causa dei carcerati. Dall’anno scorso promuove una campagna per ottenere che Marwan diventi il nuovo leader dell’Autorità nazionale palestinese.
La Polizia penitenziaria israeliana nega, ma Fadwa Barghouti e il capo della Commissione palestinese per i detenuti ed ex prigionieri Qadura Fares accusano le guardie del carcere di massima sicurezza di Ayalon, a Ramla, di aver percosso Marwan Barghouti «con delle spranghe» e di avergli procurato delle ferite sul volto, vicino agli occhi. Nei giorni scorsi, riferisce il quotidiano Haaretz, Fadwa Ibrahim Barghouti ha chiesto ai leader dei Paesi coinvolti nei negoziati fra Israele e Hamas di intervenire affinché «medici esterni al carcere possano verificare le condizioni di salute» del marito, che dal 2002 sta scontando cinque ergastoli per il suo coinvolgimento in attentati terroristici della Seconda intifada (2000-2004). Le autorità penitenziarie smentiscono che il detenuto sia custodito «in condizioni inumane», come affermato da Barghouti in una denuncia che ha inoltrato dal carcere alla magistratura due mesi fa.
Il nome di Marwan Barghouti è stato presentato dal leader di Hamas Ismail Haniyeh alla fine di gennaio nella lista di prigionieri dei quali chiede il rilascio in cambio dei 134 ostaggi ancora trattenuti nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre scorso, soltanto la metà dei quali sarebbero ancora vivi, secondo gli apparati di sicurezza israeliani. Il timore della moglie e dei dirigenti palestinesi è che dopo 22 anni di detenzione Barghouti possa morire in carcere come avvenuto in questi ultimi mesi ad altri 13 detenuti per i quali le autorità israeliane hanno dichiarato il decesso «per ragioni mediche». Nell’istanza inviata al procuratore Avigdor Feldman, Marwan Barghouti ha dichiarato di esser stato trasferito in isolamento, di non ricevere cibo in quantità adeguata, di esser costretto a dormire sul pavimento e di «esser stato ripetutamente picchiato mentre era bendato, umiliato, trascinato nudo per terra in presenza di altri detenuti». «Non possiamo essere indifferenti al regime di isolamento» ha dichiarato Qadura Fares, considerato che il suo nome è tra le «richieste specifiche di Hamas», che Barghouti gode di un sostegno enorme tra i palestinesi, che è tra le pochissime figure che sarebbero in grado di riconciliare Hamas e Fatah e che «il responsabile [politico] delle carceri è il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, noto per le sue posizioni estremiste».
Fadwa era ancora adolescente nel 1974, quando conobbe il quasi coetaneo Marwan Barghouti nel paese di Kobar, alle porte di Ramallah, dove entrambi erano cresciuti. Fadwa apparteneva a una delle poche famiglie del villaggio che permettessero alle bambine di studiare, e lei stessa fu la prima donna del paese ad ottenere la patente. All’età di 18 anni fu tra le fondatrici del sindacato per le assistenti sociali, che in seguito ha diretto per molti anni e che è stato tra le organizzazioni più attive per il coinvolgimento delle donne nel movimento di resistenza palestinese.
Marwan intanto venne arrestato la prima volta a 18 anni, nel 1978, e condannato a sei anni di detenzione, un periodo che utilizzò per imparare l’ebraico nelle carceri israeliane. Come lei stessa ha raccontato nel 2017 in un’intervista ad Al Jazeera, quando uscì dal carcere le chiese di sposarlo «ma nella consapevolezza che lui non era interessato a fare soldi o a costruire una casa, perché la sua vita sarebbe stata interamente dedicata alla resistenza palestinese e alla fine dell’occupazione nei Territori». I due –oggi ultrasessantenni – si sposarono nel 1984. Marwan studiò storia e scienze politiche all’università di Bir Zeit e fu tra i fondatori di Shabiba, l’organizzazione giovanile di Fatah nei Territori, particolarmente attiva in quell’ateneo negli anni Ottanta. Emerse come figura carismatica nella Prima intifada (1987-1993) e venne deportato in Giordania nel 1987 con la moglie e i due figli: la famiglia restò in esilio per sette anni e rientrò in Cisgiordania nel 1994, dopo la firma degli Accordi di Oslo.
Al rientro in Palestina Fadwa intraprese gli studi in Giurisprudenza mentre cresceva i quattro figli. All’inizio degli anni Duemila aprì il proprio studio legale a Ramallah, dal quale ha cercato di incoraggiare la partecipazione delle donne alla vita politica palestinese. Il marito intanto dal 1998 era diventato membro del Consiglio legislativo palestinese ma nell’estate del 2000 i suoi rapporti con Yasser Arafat (capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e presidente dell’Autorità nazionale palestinese) si fecero tesi. Marwan divenne il simbolo della Seconda intifada durante la quale si è autodefinito leader delle milizie Tanzim, braccio militare del partito Fatah.
Dopo essere scampato a diversi tentativi di ucciderlo, messi in atto dalle forze di sicurezza israeliane, Marwan Barghouti venne arrestato il 15 aprile 2022 – con l’accusa di esser coinvolto in diversi attentati costati la vita a 26 persone – e poi condannato a cinque ergastoli e altri 40 anni di detenzione, il massimo della pena prevista. Da quel momento la vita di Fadwa è stata interamente dedicata alla liberazione del marito e ad alleviare la condizione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Nel 2013 è stata in Sudafrica per lanciare la campagna «Liberate Marwan Barghouti e tutti i prigionieri palestinesi» insieme all’ex prigioniero politico sudafricano Ahmed Katrada, icona della lotta contro l’apartheid insieme a Nelson Mandela. Alla campagna aderirono otto Premi Nobel e molte decine di governi.
Dopo lo sciopero della fame lanciato da Marwa nel 2017 per 40 giorni insieme ad altri 1.600 detenuti per chiedere “riforme umanitarie nel sistema penitenziario israeliano”, Fadwa ha intensificato i contatti con leader arabi, dell’Unione europea, degli Stati Uniti e del Sud America per sensibilizzare le opinioni pubbliche sulla realtà dell’occupazione israeliana dei Territori palestinesi. Una fitta trama di relazioni per costruire il consenso internazionale intorno alla scarcerazione del marito, considerato anche da molti connazionali come possibile futuro presidente dell’Autorità palestinese, al posto di Mahmoud Abbas. Il governo di Israele ha sempre respinto al mittente la richiesta, ma dopo il 7 ottobre 2023 crescono le voci della società civile israeliana a sostegno della scarcerazione di Marwan Barghouti: fra queste c’è anche quella di Ami Ayalon, pluridecorato ammiraglio della Marina Militare ed ex capo dello Shin Bet.