Uno dei risvolti della guerra in corso nella Striscia di Gaza è il rafforzamento degli Houthi in Yemen, che in Medio Oriente hanno acquistato consensi e popolarità con le loro azioni di disturbo alla navigazione nel Mar Rosso in chiave anti-israeliana e anti-occidentale.
Mai sottovalutare gli Houthi. Con l’apertura del cosiddetto Fronte del Mar Rosso e la pioggia di droni e missili contro le navi sospettate di essere dirette in Israele o collegate all’economia israeliana, il movimento dei ribelli sciiti yemeniti – parte dello schieramento della «resistenza anti-sionista» composto da Iran, Hezbollah libanesi, milizie irachene, Siria – si è rivelato un’efficace leva per un cessate il fuoco a Gaza ed ha acquisito popolarità nella regione.
Oltre che sul piano esterno, gli Houthi, in questi mesi, si sono poi rafforzati politicamente e militarmente all’interno dello Yemen. Il portavoce del movimento, nei giorni scorsi, ha affermato che, nei quattro mesi di attacchi alle navi considerate filo-israeliane, si sono aggregati alle milizie Houthi oltre 300mila nuovi militanti, una cifra record – confermata anche dai media regionali sulla base di fonti autonome – di guerriglieri galvanizzati e pronti a combattere contro Israele e contro gli Stati Uniti. I sentimenti filo-palestinesi sono predominanti in Yemen, così le simpatie per il Fronte del Mar Rosso albergano anche nelle zone controllate dai filo-sauditi e dai filo-emiratini.
È importante ricordare che lo Yemen, il Paese più povero e vulnerabile di tutto il mondo arabo, ancora non è uscito da una guerra fratricida e al tempo stesso regionale, scoppiata circa otto anni fa, quando nel marzo 2015 una coalizione araba a guida saudita aprì le ostilità contro gli Houthi, allora un movimento considerato piuttosto marginale, che aveva conquistato la capitale Sana’a e costretto il governo sostenuto da Riyadh e riconosciuto a livello internazionale ad una fuga ad Aden. Da allora, in una guerra presto dimenticata dai media internazionali e tuttavia considerata dall’Onu una delle più gravi catastrofi umanitarie del secolo, sono stati registrati – cifre delle Nazioni Unite – 170 mila morti, un numero incalcolabile di feriti e circa 21 milioni di persone (poco meno dei due terzi dell’intera popolazione yemenita) ridotte alla fame e totalmente dipendenti dagli aiuti umanitari. È una guerra ancora in corso, anche se a bassa intensità.
In questi anni, gli Houthi – grazie agli aiuti militari iraniani – non solo hanno resistito alla potenza di fuoco dei Paesi del Golfo, ma sono spesso passati all’attacco (memorabile il drone che nel marzo 2022 danneggiò gravemente a Gedda un impianto della compagnia petrolifera saudita Aramco), approfittando anche dei contrasti sorti tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per il controllo delle zone costiere, di alcune isole e delle province petrolifere yemenite.
Nel 2022, dopo l’attacco all’Aramco, l’Onu è riuscita a far accettare alle parti in conflitto (tra cui persino Al Qaida) una tregua, che più o meno ha retto, grazie a tre fattori combinati: lo stallo tra le forze in campo, la nuova fase di distensione – mediata dalla Cina – tra Arabia Saudita e Iran, e la volontà di Riyadh di porre fine a un impegno militare troppo oneroso in Yemen. Da allora Houthi e sauditi hanno cominciato ad avere colloqui diretti, mentre il fronte, piuttosto sparpagliato e diviso delle forze anti-sciite, è riuscito a riorganizzarsi ad Aden nel Consiglio direttivo presidenziale (Plc, Presidential Leadership Council). La guerra nel 2023 si è attenuata del 70 per cento rispetto all’anno prima – secondo l’Acled, un centro internazionale di raccolta dati e analisi sui conflitti, di cui sono partner anche l’Unione europea e alcuni governi europei. I combattimenti sono proseguiti con scarsa virulenza tra forze apparentemente ormai allo stremo.
Prima del 7 ottobre 2023, anche gli Houthi, pur rimanendo i vincitori di fatto, si sono trovati, nei loro territori, a fronteggiare proteste e contestazioni, soprattutto di carattere economico.
L’attacco terroristico di Hamas in Israele e l’apertura di una guerra totale da parte del governo di Benjamin Netanyahu contro l’organizzazione islamista, ma di cui fa le spese soprattutto la popolazione civile palestinese di Gaza, ha aperto nuovi scenari. Nel novembre 2023, gli Houthi hanno cominciato a colpire e intercettare il commercio navale che attraversava lo stretto di Bab el Mandel verso Israele e il Canale di Suez, talvolta mirando anche ad obiettivi sbagliati. L’azione dei ribelli sciiti (probabilmente concordata con Teheran, anche se gli Houthi rivendicano da sempre una loro autonomia politica e d’azione) ha avuto un impatto non solo sull’economia dello Stato ebraico ma anche sui costi e le rotte dei traffici internazionali, che, almeno in parte hanno dovuto riprendere l’antica circumnavigazione dell’Africa, nel percorso tra Asia e Europa. L’11 gennaio 2024, gli Stati Uniti hanno promosso una coalizione internazionale (a cui non partecipano né l’Arabia Saudita né l’Egitto, le principali potenze del Mar Rosso) per proteggere la navigazione e distruggere le basi e le infrastrutture degli Houthi. Gli attacchi militari dei ribelli sciiti sono proseguiti, senza risentire troppo delle rappresaglie occidentali.
Completamente messi in ombra dalla situazione di Gaza e del Mar rosso, i negoziati per porre fine alla guerra yemenita sono nel frattempo andati avanti per qualche mese , tanto che, il 23 dicembre 2023, il mediatore Onu, Hans Grundberg, ha annunciato un accordo tra Houthi e il governo riconosciuto internazionalmente di Aden per avviare una road-map indirizzata a una pace definitiva, con la ripresa dei pagamenti dei salari agli statali e delle esportazioni di petrolio, la riapertura di strade di collegamento e dei porti dello Yemen del Nord.
Si va quindi verso una soluzione? In realtà no, perché da allora non ci sono stati ulteriori sviluppi. Nella tragedia palestinese, gli Houthi hanno capitalizzato molto e ciò potrebbe cambiare le carte a loro favore quando si tornerà al tavolo delle trattative per delineare il futuro dello Yemen. I rapporti di forza sono infatti mutati dopo il 7 ottobre 2023. Secondi alcuni esperti regionali, gli Houthi potrebbero cercare di ottenere – con le buone o le cattive e approfittando ancora una volta delle divisioni tra sauditi ed emiratini – il controllo della regione strategica di Marib, ricca di giacimenti di gas e petrolio, e attualmente ultimo caposaldo verso il nord del governo di Aden. Mentre Riyadh appare orientata – secondo notizie in divenire – ad accettare le pressioni degli Houthi perché il Regno non conceda più il proprio territorio agli Stati Uniti per azioni militari contro le basi militari sciite in Yemen, gli Emirati chiedono che gli Houthi siano definitivamente classificati come un movimento terrorista e trattati come tali.