Il settimanale statunitense ha scelto di includere l’israeliana e la palestinese fondatrici, rispettivamente, di Women Wage Peace e di Women of the Sun tra le 12 donne leader globali in lotta per un futuro migliore.
Le due fondatrici dell’organizzazione femminile israeliana per la pace Women Wage Peace (Le donne fanno la pace) e dell’omologa palestinese Women of the Sun (Donne del sole), rispettivamente Yael Admi e Reem Hajajreh, sono tra le 12 leader scelte dalla rivista Time come Donne dell’anno per il 2024. La lista del prestigioso settimanale statunitense è stata diffusa lo scorso mercoledì 21 febbraio e comprende, fra le attiviste che combattono per un futuro più giusto, anche il premio Nobel per la pace 2018 Nadia Murad, la giovane yazida sopravvissuta alle violenze dello Stato islamico fondatrice dell’organizzazione Nadia Initiative con cui sostiene le vittime delle violenze sessuali commesse come crimini di guerra.
«In questi tempi così difficili – si legge nel comunicato congiunto delle due organizzazioni partner Women Wage Peace e Women of the Sun – cerchiamo di lottare contro la disperazione e di sventolare una bandiera di speranza per un futuro migliore. Siamo commosse dalla scelta della rivista Time e questo ci dà la forza per continuare il nostro viaggio difficile, specialmente adesso. In questo periodo orribile nel quale stiamo tutti sperimentando angoscia e dolore, condividiamo il nostro appello per porre fine a questo conflitto terribile attraverso un processo politico e lavorando per il futuro dei nostri figli».
Era il mercoledì 4 ottobre 2023 quando circa 1.500 donne israeliane e palestinesi si radunarono a Gerusalemme e sulle spiagge del Mar Morto per chiedere di porre fine al ciclo di violenze e il ritorno al tavolo dei negoziati. Nulla lasciava presagire che appena tre giorni dopo alcune centinaia di miliziani di Hamas avrebbero attaccato i kibbutz vicino alla Striscia di Gaza provocando la morte di 1.200 persone, fra le quali tre componenti di Women Wage Peace inclusa Vivian Silver, 74enne attivista israelo-canadese tra le fondatrici del movimento, perpetrando stupri e violenze sessuali su donne e ragazze e oltre 3300 feriti. A 140 giorni da quel tragico sabato, la rappresaglia di Israele ha provocato la morte di almeno 29mila palestinesi e decine di migliaia di feriti a Gaza, mentre 129 ostaggi israeliani e di altre nazionalità restano in mano a Hamas.
«Abbiamo iniziato con un gruppetto di donne – dice in un’intervista a Time Reem Hajaireh, leader della palestinese Women of the Sun – ed oggi siamo diverse migliaia: non ce ne stiamo più sedute nelle retrovie. La situazione in Cisgiordania e a Gaza era già insostenibile da molto tempo, ma è notevolmente peggiorata dopo il 7 ottobre: in quel momento avevamo 2.500 membri in Cisgiordania, dove abbiamo la nostra sede, e all’incirca 300 membri a Gaza, dove 27 di loro sono state uccise nel corso di questi quattro mesi e mezzo». Hajaireh ha raccontato di aver fondato l’organizzazione nel 2021 proprio per incoraggiare altre donne, che in generale nella maggior parte del mondo arabo restano ampiamente assenti dall’arena pubblica, ad assumere un ruolo politico e a rimuovere con tenacia gli ostacoli verso la pace.
Nessuna delle due organizzazioni ha presentato un piano di pace concreto o appoggia determinate soluzioni politiche. Women Wage Peace, che a dieci anni dalla fondazione conta circa 45mila membri, in patria viene accusata di riscuotere il consenso internazionale (lo scorso dicembre le due organizzazioni sono state candidate al Premio Nobel per la pace per il 2024), ma di non rappresentare una quota significativa dell’opinione pubblica israeliana proprio perché volutamente non affronta nei suoi documenti la questione dell’occupazione dei Territori: anche grazie al silenzio su questo nodo cruciale ha attratto il sostegno di migliaia di donne israeliane, non solo arabe o provenienti dalle tradizionali organizzazioni pacifiste di sinistra ma anche ortodosse, haredi e persino ebree residenti nelle colonie. Quel che entrambe le organizzazioni affermano con forza è «la necessità e urgenza di una soluzione politica concordata e non violenta perché l’assenza di un accordo politico porterà le donne e i bambini a pagare il prezzo più alto» di questo conflitto pluridecennale.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite sulla partecipazione delle donne ai negoziati di pace infatti, tra il 1992 e il 2019 le donne hanno costituito solo il 13 per cento dei negoziatori, il 6 per cento dei mediatori e solo il 6 per cento dei firmatari nei principali processi di pace. Eppure, negli 82 accordi in 42 conflitti armati tra il 1989 e il 2011, quelli che avevano donne fra i firmatari hanno dato vita a una pace duratura. È ciò che hanno ripetuto Yael Admi e Reem Hajajreh un mese fa a Parigi, invitate dal Parlamento francese e dalla sindaca Anne Hidalgo ad esporre ai francesi come sostenere gli sforzi delle israeliane e palestinesi per la pace.