Ogni papa, con la propria sensibilità e storia personale, induce l’intera Chiesa cattolica – ed anche persone che non ne fanno parte – a scoprire, o riscoprire, determinati aspetti del messaggio biblico ed evangelico, della spiritualità e del patrimonio di idee e insegnamenti germogliati in due millenni di cristianesimo.
Da parte sua, papa Francesco ci sospinge, tra l’altro, a sviluppare una maggiore attenzione per le tematiche ambientali, già presenti nel magistero dei suoi immediati predecessori e in particolare di Benedetto XVI. È di otto anni fa l’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, il pianeta che ci alimenta e accoglie. Il 4 ottobre scorso, festa di san Francesco d’Assisi, il papa che porta il suo nome ha voluto tornare sull’argomento, aggiornando le riflessioni con l’esortazione apostolica Laudate Deum, scritta in vista della Cop28, la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, convocata a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dal 30 novembre al 12 dicembre.
Il Papa aveva in animo di prendervi parte di persona, ma all’ultimo momento ha dovuto rinunciare al viaggio per problemi di salute. Al suo posto ha inviato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, perché leggesse ai delegati presenti il discorso preparato per l’occasione. «Il cambiamento climatico – ha detto il Pontefice ai delegati di Cop28 – è “un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana” (Esort. ap. Laudate Deum, 3). Sono con voi per porre la domanda a cui siamo chiamati a rispondere ora: lavoriamo per una cultura della vita o della morte? Vi chiedo, in modo accorato: scegliamo la vita, scegliamo il futuro! Ascoltiamo il gemere della terra, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini!». «L’ambizione di produrre e possedere – ha osservato il Papa – si è trasformata in ossessione ed è sfociata in un’avidità senza limiti, che ha fatto dell’ambiente l’oggetto di uno sfruttamento sfrenato. Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare tale delirio di onnipotenza. Torniamo a riconoscere con umiltà e coraggio il nostro limite quale unica via per vivere in pienezza». Francesco ha soggiunto che i poveri sono coloro che hanno meno responsabilità di altri, «perché la quasi metà del mondo, più indigente, è responsabile di appena il 10 per cento delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale. Questi sono in realtà le vittime di quanto accade: pensiamo alle popolazioni indigene, alla deforestazione, al dramma della fame, dell’insicurezza idrica e alimentare, ai flussi migratori indotti».
Bergoglio ha chiesto alla Cop28 non «una parziale modifica della rotta, ma un modo nuovo di procedere insieme» nel multilateralismo, scartando nazionalismi e interessi di parte: «Questa Cop sia un punto di svolta: manifesti una volontà politica chiara e tangibile, che porti a una decisa accelerazione della transizione ecologica, attraverso forme che abbiano tre caratteristiche: siano “efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili” (LD, 59). E trovino realizzazione in quattro campi: l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; l’eliminazione dei combustibili fossili; l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi».
Aspirazioni accolte? Mica poi tanto. Il testo approvato a Dubai a fine lavori esorta ad «effettuare la transizione dai combustibili fossili, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio cruciale, per raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, in accordo con la scienza». Nulla è però vincolante per nessuno e non sono previste tabelle di marcia. C’è solo la richiesta di triplicare la disponibilità di fonti energetiche eoliche e solari, e accrescerne l’efficienza, entro il 2030. L’obiettivo di contenere il riscaldamento del pianeta entro 1,5 gradi in più rispetto al periodo pre-industriale pare già fuori portata.
Eco di Terrasanta 1/2024
Le stimmate di un uomo appassionato
L’esperienza di Francesco d’Assisi stimmatizzato nel 1224 al monte della Verna non ci parla solo di sofferenza, ma di un amore per Cristo che è fuoco. Punto di arrivo e ripartenza in un percorso sempre più pieno e partecipato.