Nella Messa della notte di Natale, celebrata a Betlemme, poco distante dalla grotta della Natività, il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha riflettutto sul senso del Natale in questa stagione difficile per la Terra Santa esortando tutti a tornare all'amore di Dio che cambia il mondo in meglio.
(g.s.) – La chiesa francescana di Santa Caterina, attigua alla basilica della Natività, a Betlemme, nella notte santa di questo Natale 2023 è popolata dai fedeli locali. Non è neppure stato necessario prenotare in anticipo i biglietti per l’ingresso. C’è posto per tutti. La guerra ha tenuto lontani i pellegrini dal resto del mondo.
Il patriarca latino è giunto in città nel primo pomeriggio da Gerusalemme, accolto dalle autorità civili e religiose. Con il cardinale Pierbattista Pizzaballa, in corteo, anche un altro cardinale, l’elemosiniere del Papa Konrad Krajewski, giunto dal Vaticano per una visita di pochi giorni che vuole esprimere la vicinanza della Santa Sede alla Chiesa locale.
La Messa della notte è iniziata alle 23.30. Il rito è solenne, i canti sono eseguiti dal coro della Custodia di Terra Santa. Le parole che il cardinale patriarca pronuncerà nell’omelia echeggeranno in altre parti del mondo, tanto più in una stagione tanto difficile per i popoli di questa regione.
Pizzaballa innanzitutto ringrazia i diplomatici e le autorità civili presenti. In chiesa ci sono anche Emiliano Fabi e Stefania Proietti, i sindaci di Greccio e di Assisi (città gemellate con Betlemme), giunti appositamente dall’Italia. Poi il patriarca esprime gratitudine al cardinale Krajewski e al Papa che lo ha inviato, infine al presidente francese Emmanuel Macron, che ha telefonato per presentare i suoi auguri e attestare vicinanza, ma soprattutto al re di Giordania Abdallah II. L’impegno diretto nella Striscia di Gaza dell’assistenza umanitaria giordana ha consentito di consegnare aiuti, in questi ultimi giorni, anche ai parrocchiani rimasti nella parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza.
Il cardinale entra poi nel vivo dell’omelia per «dare voce a un sentimento profondo che credo proviamo tutti e che trova eco nel Vangelo appena proclamato: “perché non c’era posto per loro” (Vangelo di Luca 2,7). Come per Maria e Giuseppe, anche per noi, oggi qui, sembra che non ci sia posto per il Natale. Siamo tutti presi, da troppi giorni, dalla dolorosa, triste sensazione che non ci sia posto, quest’anno, per quella gioia e quella pace che in questa notte santa, proprio a pochi metri da qui, gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme».
«In questo momento – soggiunge il patriarca – non possiamo non pensare a tutti quelli che in questa guerra sono rimasti senza nulla, sfollati, soli, colpiti nei loro affetti più cari, paralizzati dal loro dolore. Il mio pensiero va a tutti, senza distinzione, palestinesi e israeliani, a tutti quelli colpiti da questa guerra, a quanti sono nel lutto e nel pianto e attendono un segno di vicinanza e di calore. Il mio pensiero, in particolare, va a Gaza e ai suoi due milioni di abitanti. Davvero quel “non c’era posto per loro” esprime bene la loro situazione, oggi nota a tutti e la cui sofferenza non cessa di gridare al mondo intero. Nessuno più ha un posto sicuro, una casa, un tetto, privati dei beni essenziali di vita, affamati, e più ancora esposti ad una violenza incomprensibile. Non sembra esserci posto per loro non solo fisicamente, ma nemmeno nella mente di coloro che decidono le sorti dei popoli. È la situazione in cui da troppo tempo vive il popolo palestinese, che pur vivendo nella propria terra, si sente dire continuamente: “non c’è posto per loro”, e attende da decenni che la comunità internazionale trovi soluzioni per porre fine all’occupazione, sotto la quale è costretta a vivere, e alle sue conseguenze. Mi sembra che oggi ciascuno sia chiuso nel suo dolore. Odio, rancore e spirito di vendetta occupano tutto lo spazio del cuore, e non lasciano posto alla presenza dell’altro. Eppure, l’altro ci è necessario. Perché il Natale è proprio questo, è Dio che si fa umanamente presente, e che apre il nostro cuore ad un nuovo modo di guardare il mondo».
Lo sguardo del cardinal Pizzaballa, per un momento si allarga al resto della cristianità (sempre meno cristiana): «Non che il mondo sia sempre stato ospitale con Cristo: non è di oggi la costatazione che della fede cristiana, e del Natale cristiano in particolare, ci siano ormai poche tracce nella nostra cultura secolarizzata e consumista. Quest’anno però, soprattutto qui, ma anche nel resto del mondo, il fragore delle armi, il pianto dei bambini, le sofferenze dei profughi, il lamento dei poveri, le lacrime di tanti lutti in tante famiglie sembrano rendere stonati i nostri canti, difficile la nostra gioia, vuote e retoriche le nostre parole. Sia chiaro: la venuta di Cristo nel nostro mondo ha aperto per noi e per tutti “la via dell’eterna salvezza”, che niente e nessuno potrà mai più chiudere. La fede, la speranza e l’amore della Chiesa di Dio sono indefettibili e riposano sulla Promessa fedele del Signore, e non dipendono dai tempi che mutano e dalle circostanze, più o meno avverse, che ci circondano».
In un periodo storico tanto difficile, osserva il patriarca, «il nostro cuore appesantito può non riuscire a sintonizzarsi con l’annuncio del Natale. Troppo dolore, troppa delusione, troppe promesse mancate affollano quello spazio interiore, in cui il Vangelo del Natale possa risuonare e ispirare azioni e comportamenti di pace e di vita. Chiediamoci allora: dove è il Natale quest’anno? Dove cercare il Salvatore? Dove può nascere il Bambino, quando in questo nostro mondo sembra che non ci sia posto per Lui?»
La risposta risiede anzitutto nella vita della Trinità, nelle sue dinamiche interne d’amore. Così Pizzaballa: «Il Natale di Cristo avviene in principio nel Cuore misericordioso del Padre. Il Suo amore infinito e inesauribile genera eternamente il Figlio e lo dona a noi nel tempo, anche in questo tempo. (…) Nelle attuali circostanze, noi, la Chiesa tutta, deve tornare a Dio, al Suo amore, se vuole ritrovare la gioia vera del Natale, se vuole incontrare il Salvatore. Prima e oltre ogni spiegazione sociale e politica, la violenza e la sopraffazione dell’altro trovano la loro ultima radice nell’aver dimenticato Dio, contraffatto il Suo Volto, usato in modo strumentale e falso il rapporto religioso con Lui, come in questa nostra Terra Santa avviene troppo spesso. Non può chiamare Dio “Padre” chi non sa chiamare “fratello” il suo simile. È ancora più vero però che non ci si può riconoscere fratelli se non si ritorna al vero Dio, riconoscendolo come un Padre che ama tutti. Se non ritroviamo Dio nella nostra vita inevitabilmente smarriremo la strada del Natale e ci ritroveremo soli a vagare nella notte senza méta, in preda ai nostri istinti violenti ed egoisti».
Nella storia, nella vita di noi tutti il Signore sollecita la nostra libera collaborazione al suo agire. Prosegue l’omelia del porporato: «Il Figlio di Dio, generato dal Padre, entra nel tempo attraverso la porta aperta dell’umana libertà. Dovunque un uomo e una donna dicono “sì” a Dio, lì è Natale! Dovunque qualcuno è disponibile a mettere la propria vita a servizio della Pace che viene dall’Alto e non soltanto a badare ai propri interessi, lì nasce e rinasce il Figlio. Se vogliamo dunque che sia Natale, anche in tempo di guerra, occorre che tutti moltiplichiamo i gesti di fraternità, di pace, di accoglienza, di perdono, di riconciliazione. Dirò di più: dobbiamo tutti impegnarci, a partire da me e da chi, come me, ha responsabilità di guida e di orientamento sociale, politico e religioso, a creare una “mentalità del sì” contro la “strategia del no”. Dire sì al bene, sì alla pace, sì al dialogo, sì all’altro non deve essere solo retorica ma impegno responsabile, disposto a fare spazio, non a occuparlo, a trovare un posto per l’altro e non a negarlo. Il Natale è stato reso possibile dallo spazio che Maria e Giuseppe hanno offerto a Dio e al Bambino che veniva da Lui. Non sarà diversamente per la Giustizia e la Pace: non ci sarà giustizia, non verrà la pace senza lo spazio aperto dal nostro “sì” disponibile e generoso».
«Carissimi – confessa il cardinale Pizzaballa – ho nel cuore un desiderio che si fa preghiera: Che la nostra volontà di bene, resa concreta dal nostro “sì” responsabile e generoso, dal nostro impegno ad amare e a servire, sia lo spazio nel quale Cristo possa nascere sempre di nuovo! Lo chiedo per me stesso e per la mia Chiesa di Terra Santa e per ogni Chiesa: che essa sia per tutti casa, spazio di riconciliazione e perdono per quanti cercano gioia e pace! Chiedo a tutte le Chiese nel mondo, che in questo momento guardano a noi non solo per contemplare il mistero di Betlemme, ma anche per sostenerci in questa tragica guerra: fatevi latori presso i vostri popoli e i loro governanti del “si” a Dio, del desiderio di bene per questi nostri popoli, per la cessazione delle ostilità, perché tutti possano ritrovare davvero casa e pace».
Se è vero che il 7 ottobre scorso ha segnato una svolta nella storia del Medio Oriente, occorre trarne le conseguenze. Auspica, in conclusione, il patriarca latino di Gerusalemme: «La tragedia di questo momento, infatti, ci dice che non è più tempo per tattiche di corto respiro, di rimandi ad un futuro teorico, ma che è tempo di dire, qui e ora, una parola di verità, chiara, definitiva, che risolva alla radice il conflitto in corso, ne rimuova le cause profonde e apra nuovi orizzonti di serenità e di giustizia per tutti, per la Terra Santa ma anche per tutta la nostra regione, segnata anch’essa da questo conflitto. Le parole come occupazione e sicurezza e le tante altre parole simili che da troppo tempo dominano i nostri rispettivi discorsi, devono essere rafforzate da fiducia e rispetto, perché questo è ciò che vogliamo che sia il futuro per questa terra e solo questo garantirà stabilità e pace vere».