È un tascabile che si legge in una manciata di minuti quest’ultima lezione dello scrittore israeliano Amos Oz. Per meglio dire, abbiamo tra le mani il testo della conferenza che Oz, già gravemente ammalato, pronunciò all’Università di Tel Aviv nel giugno 2018, sei mesi prima di morire. Nell’intenzione dell’autore queste poche parole sono come un’appendice al suo ultimo libro, Cari fanatici, una sorta di testimone che un nonno attivista ha voluto trasmettere ai suoi nipoti perché continuino la corsa per il tratto che spetta loro.
Oz dice di non considerarsi un pacifista. Sa che il bastone serve a volte. Proprio perché è dotato di bastone e ne fa uso, Israele continua ad esistere. Tra israeliani e palestinesi c’è però, da decenni, una ferita aperta e purulenta e le ferite non si curano con il bastone.
Il compianto scrittore va alle radici del sionismo, che sintetizza con la volontà degli ebrei di non ritrovarsi più, e ovunque, minoranza discriminata e in balia degli eventi. Nello Stato ebraico, sottolinea Oz, ciò non può accadere. Se si vuole che sia così, bisogna però ammettere che non c’è alternativa alla soluzione dei due Stati per due popoli, riconoscendo che anche i palestinesi appartengono a quel brandello di terra. Gli israeliani, in cuor loro, lo sanno, anche se continuano a rinviare questa operazione chirurgica dolorosa e indigesta.
Dovrà venire un leader – dice Oz – capace, come un buon chirurgo, di portare il suo popolo a fare il passo troppo a lungo rinviato. Accanirsi a rifiutarlo implicherebbe la scomparsa di Israele. (g.s.)
Amos Oz
Resta ancora tanto da dire
L’ultima lezione
Feltrinelli, 2023
pp. 64 – 9,00 euro