Roma è stata battuta da Riad come città ospite dell'Expo 2030. Dopo i primi risentimenti, qualcuno ha cominciato a ragionare e a rendersi conto che anche questo è un segnale delle nuove realtà geopolitiche in Medio Oriente e oltre.
Ha destato un certo scalpore, almeno sui media nostrani, la decisione con cui, il 28 novembre 2023, il Bureau International des Expositions ha assegnato, con 119 voti, l’organizzazione dell’Expo 2030 a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, relegando la candidatura di Roma al terzo posto (17 voti) dietro anche la sudcoreana Busan (29). Poiché siamo italiani, la reazione iniziale è stata quella di attribuire la decisione al potere persuasivo dei petrodollari sauditi. Come ragioniamo nel calcio, insomma: l’arbitro è di parte e dà il rigore solo alla squadra avversaria. Poi qualcuno ha cominciato a ragionare e a rendersi conto che dietro quella votazione si avvertono anche le nuove realtà geopolitiche e il senso di un giudizio generale sull’andamento del mondo.
Intanto, c’è un ritratto dell’Europa. Nonostante che qualche tempo fa Josep Borrell, responsabile Ue per la politica estera e di sicurezza, avesse garantito che i 27 Paesi dell’Unione avrebbero votato compatti per Roma, al conto finale sono mancanti almeno dieci voti europei. In altre parole, solo l’aiuto all’Ucraina (e sempre meno pure quello) riesce a compattare in ranghi Ue. Ma il ritratto dell’Europa non finisce qui: l’enorme divario nel voto finale dimostra che, con i petrodollari, l’Arabia Saudita riesce a fare anche qualcosa che va molto oltre la pura e semplice ostentazione della ricchezza. Per esempio, ospitare a Riad (proprio qualche giorno prima del voto del Bureau) un vertice Arabia Saudita-Africa (il primo dopo quello Kuwait-Africa del 2013) cui hanno partecipato cinquanta leader africani. Per esempio, decidere negli ultimi decenni investimenti per 45 miliardi di dollari in 46 Paesi africani e programmarne per altri 25 miliardi entro il 2030, oltre ad altri 5 miliardi destinati a iniziative per lo sviluppo. Per esempio, aumentare il numero delle proprie ambasciate nel continente africano. Pensare che sia un caso se i Paesi africani hanno poi votato in massa per destinare l’Expo 2030 a Riad sarebbe veramente da ingenui. Come lo sarebbe, però, anche pensare che quel voto non sia stato in qualche modo meritato.
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In altre parole: a dispetto di tutti i vertici del G7 e delle photo opportunity con i leader di Roma, Parigi e Berlino che sorridono e si danno pacche sulle spalle, l’equilibrio mondiale sta cambiando e si sposta verso Oriente e verso quel «Sud globale» che, smettendo i panni del gregario, sempre più riesce a farsi sentire nelle decisioni che contano. Se prestiamo attenzione, questa è anche una delle lezioni della guerra in Ucraina scatenata dall’invasione russa. Si pensava che il Cremlino avrebbe dovuto cedere solo il peso dello sforzo bellico e delle sanzioni economiche. Se la Russia non solo sta ancora in piedi, ma sta superando l’ostilità dell’intero Occidente è proprio perché un «altro mondo», disponibile a conservare i rapporti e spesso ad aiutarla, nel frattempo era cresciuto. Non ce n’eravamo accorti. Ben venga il voto sull’Expo 2030, se ci aiuta ad aprire gli occhi.