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Una nuova occupazione di Gaza? Israele s’interroga

Giuseppe Caffulli
11 ottobre 2023
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Una nuova occupazione di Gaza? Israele s’interroga
Soldati israeliani nei pressi del confine con la Striscia di Gaza, 10 ottobre 2023. (foto Yossi Zamir/Flash90)

Il Jerusalem Post, uno dei principali quotidiani israeliani, analizza il grave fallimento dello Stato ebraico nel garantire la propria sicurezza, focalizzandosi sul contenimento della minaccia proveniente dalla Striscia di Gaza, non sulla sua eliminazione. Alcuni possibili sviluppi.


L’inaudita violenza scatenatasi dal 7 ottobre scorso in Israele, con l’attacco via aria e via terra di Hamas da Gaza, ha riportato in auge, all’interno del dibattito pubblico, il tema dell’occupazione o meno della Striscia. Ricordiamo che Israele si è ritirata da Gaza nel 2005, restituendo all’Autorità palestinese il territorio. Meno di due anni dopo, Hamas prese violentemente il controllo della Striscia, spodestando Fatah (il partito che governa l’Autorità palestinese) con un violento colpo di Stato. Da allora i tentativi israeliani di spingere Hamas al collasso attraverso sanzioni economiche sono falliti, e non si sono arrestati il flusso di armi e di finanziamenti nella Striscia soprattutto in virtù dei legami con l’Iran.

Della questione se ne occupa in un’approfondita analisi sul Jerusalem Post del 10 ottobre Tovah Lazaroff, vicedirettrice editoriale dello storico giornale di Gerusalemme, esperta di terrorismo.

«Fino a sabato i vertici di Israele e la comunità internazionale avevano creduto che un certo numero di lanci di razzi contro Israele fosse sostenibile, anche quando era mortale. Semmai, si presumeva che Gaza fosse diventata un pantano perpetuo, in cui i suoi due milioni di cittadini erano destinati a essere governati da Hamas, un gruppo fondamentalista islamico. Israele, a sua volta, ha mantenuto una politica di contenimento attraverso la quale avrebbe limitato ma non eliminato la minaccia militare posta dal gruppo terroristico», argomenta la Lazaroff.

Insomma, Israele si era focalizzato sul contenimento della minaccia, non sulla sua eliminazione.

«Abbiamo commesso un enorme errore nell’immaginare che un’organizzazione terroristica potesse cambiare il suo Dna e abbiamo stupidamente iniziato a crederci», ha detto ai giornalisti l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, il generale Yaakov Amidror, in un briefing organizzato dal Jerusalem Press Office, di fatto l’ufficio stampa del ministero dell’Interno.

«In passato Israele ha temuto il costo umano dell’eliminazione di Hamas, sia in termini di forze militari israeliane che di civili palestinesi. Mancava anche il sostegno internazionale per riconquistare Gaza in un’arena globale che metteva sempre più in dubbio se le sue azioni militari fossero in realtà operazioni di autodifesa o offensive sproporzionate se non crimini di guerra». Insomma, «Hamas ha tenuto Israele in ostaggio con le sue continue minacce di lancio di razzi e di guerra», prosegue la giornalista.

Siamo dunque di fronte alla prospettiva di un rientro dell’esercito israeliano a Gaza, questa volta per rimanervi?

«Da un punto di vista militare – spiega la Lazaroff – si potrebbe sostenere che Israele non ha altra scelta che riconquistare Gaza, a qualsiasi costo».

Le ragioni sono molteplici: da una parte la necessità di bonificare la Striscia da Hamas e dal rischio continuo di lancio di razzi, dall’altra il tentativo di liberare gli oltre 150 ostaggi in mano ai terroristi. C’è poi anche una ragione legata al prestigio (leso) di Tzahal, l’esercito israeliano, la cui forza di deterrenza si è sempre basata sulla mitica superiorità dell’intelligence, «sul contrasto creativo di potenziali attacchi e sulla forza dei suoi attacchi preventivi e di ritorsione».

Insomma, un esercito che perde la faccia in un attacco subito a sorpresa, è vulnerabile a opera di Hamas, ma al tempo stesso è vulnerabile da tutti i suoi nemici. E forse quello che sta capitando, con fonti di instabilità che si aprono sul confine libanese e siriano, stanno a testimoniare che i nemici d’Israele reputano essere questo un momento propizio per affondare il colpo.

«L’assalto di Hamas aumenta la necessità di una decisiva vittoria israeliana, non solo per prevenire futuri attacchi da parte del gruppo terroristico palestinese ma anche da parte di Hezbollah nel nord e dei maggiori nemici regionali di Israele», spiega la vicedirettrice del Jerusalem Post.

Se queste considerazioni porteranno o meno a un diretto intervento nella Striscia (o se viceversa prevarrà la prudenza), lo scopriremo nelle prossime ore.

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