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Proteste in Iran, nell’uso del corpo il travaglio di una nazione

Manuela Borraccino
30 ottobre 2023
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Proteste in Iran, nell’uso del corpo il travaglio di una nazione

La Rivoluzione khomeinista come reazione all’occidentalizzazione forzata, la ricerca di una via islamica allo sviluppo, lo scontro fra femminismi religiosi e laici. L’antropologa Sarah Hejazi ripercorre gli snodi cruciali della storia dell’Iran per capire la complessità e l'imprevedibilità degli esiti delle rivolte.


Non si possono capire tredici mesi di proteste senza considerare le cesure che hanno dirottato il cammino politico, economico e culturale dell’Iran prima nel 1953 con l’imposizione della monarchia di Reza Shah e l’occidentalizzazione forzata dell’Iran, poi nel 1978-79, con il ritorno dell’imam Ruhollah Khomeini che ha forgiato le istanze progressiste con le categorie dell’Islam politico. Così come non si possono leggere le manifestazioni del 2009, del 2019 e del 2022 come uno scontro fra tradizioni e modernità o come un conflitto tra generazioni amplificato e “de-territorializzato” dalla vastissima eco acquisita grazie alle reti digitali e ai milioni di iraniani della diaspora.

Slanci, contraddizioni e fratture attraversano il saggio di estremo interesse Iran, donne e rivolte dell’antropologa Sara Hejazi, ricercatrice presso il Centro per le scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento e il Centro di eccellenza europeo Jean Monnet dell’università di Trento.

«La donna è generatrice di vita, l’essenza della vita è la libertà»: l’origine dello slogan “Donna, vita, libertà” ovvero Zan, Zendegi, Azadi, divenuto nell’ultimo trimestre 2022 uno dei topic trends globali di Google insieme all’hashtag #beourvoice (“siate la nostra voce”), in realtà ha più di vent’anni e non è persiana. La studiosa rimarca come essa affondi le radici nell’espressione curda Jin, Jîyan, Azadî  ideata dall’attivista curdo Abdullah Öcalan nel contesto di una corrente femminista fortemente politicizzata che ha dato vita alla “gineologia”, la scienza delle donne. La morte della giovane Mahsa Amini, il cui nome curdo era Jîna Emînî, ha fatto così da catalizzatore alle diverse tensioni, relative anche alle minoranze etniche e religiose oltre che alla condizione delle donne, che attraversano questo Paese di 88 milioni di abitanti, il 70 per cento dei quali ha meno di 35 anni e non ha vissuto la Rivoluzione di 44 anni fa.

Una rivoluzione, ricorda l’autrice, nata nei circoli progressisti e che è stata in qualche modo dirottata dall’unica ideologia, quella afferente alla fede, che potesse far da collante in un Paese in cui l’analfabetismo riguardava all’epoca i due terzi della popolazione e dove le donne delle aree urbanizzate pativano ancora di più i nodi della modernità, come si vede nei romanzi e saggi di Seyyed Jalāl Āl-e-Ahmad, della moglie Simin Dāneshvar e del filosofo Ali Shariati.

Oggi, al contrario, la gioventù iraniana è la più istruita e la più occidentalizzata del Medio Oriente: le donne, in particolare, formano il 60 per cento della popolazione studentesca e il 70 per cento degli iscritti alle facoltà scientifiche come Ingegneria, Medicina, Matematica, senza però che al loro alto grado di istruzione corrispondano adeguati livelli di occupazione, salari, indipendenza, uguaglianza davanti alla legge. Anche così si spiega l’uso del corpo nelle proteste, con il taglio di una ciocca di capelli che rimanda a una tradizione funeraria curda e la forte carica simbolica legata alla rimozione dell’hijab e dello chador, già oggi poco utilizzati a nord di Teheran.

Di particolare interesse sono le pagine dove Hejazi esplora i cambiamenti avvenuti nei rapporti di genere prima e durante la Rivoluzione khomeinista; l’impatto dei processi di urbanizzazione che ha coinvolto tutto il Paese negli ultimi decenni; il ruolo primario avuto dalle donne durante le manifestazioni del 1978-1979 nel fiancheggiamento e nella collaborazione con i dissidenti della monarchia, non dissimili da quelli avuti dalle nostre partigiane durante la Resistenza; le tensioni fra le correnti femministe laiche e quelle religiose che in Iran, ricorda, non si identificano con il femminismo islamico.

Quale può essere la via d’uscita dalla Rivoluzione islamica? Con la sua prosa chiara e precisa, il saggio di Hejazi ha il pregio di fornire le chiavi di lettura sulle diverse variabili e fattori che rendono gli esiti delle rivolte così imprevedibili. Tanto più, rimarca l’antropologa, che oggi le forze di coercizione che reprimono le proteste (il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, le milizie volontarie dei Basij, l’esercito, la polizia) sono più unite e coese che mai, mentre solo attraverso il loro rifiuto di colpire i manifestanti potrebbero aprirsi dei varchi in grado di far scricchiolare la tenuta del regime iraniano.


Sara Hejazi
Iran, donne e rivolte
Scholé, 2023
pp. 160 – 14,00 euro

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