(g.s.) – Nella tarda serata del 27 ottobre è iniziata una nuova fase dell’operazione israeliana Spade di ferro, che ha l’intento dichiarato di sradicare Hamas dalla Striscia di Gaza. I bombardamenti dal cielo, incessanti da 21 giorni, si sono fatti più intensi e commando di truppe terrestri e carri armati sono penetrati in territorio nemico, dove continuano ad operare. Le forze armate di Israele affermano di aver preso di mira centinaia di strutture sotterranee delle milizie armate palestinesi e hanno ribadito ai civili l’ordine di sfollare a sud del Wadi Gaza, lasciando libero campo alle operazioni nel nord della Striscia. Intanto sono rimaste fuori uso per molte ore le telecomunicazioni e la rete Internet.
Una sorta di triumvirato di guerra – composto dal ministro della Difesa Yoav Gallant, il primo ministro Benjamin Netanyahu, e l’ex generale Benny Gantz, principale leader dell’opposizione entrato nel governo dopo il 7 ottobre – ha parlato agli israeliani la sera di sabato 28 ottobre in una breve conferenza stampa trasmessa in diretta. I tre politici hanno avvertito che la guerra sarà lunga e dura, anche se la vittoria finale è certa. Al termine – ha ammesso un Netanyahu ormai politicamente all’angolo – ognuno farà fronte alle sue responsabilità per non aver saputo prevenire e sventare una simile tragedia.
Intanto all’Onu…
Mentre gli eventi bellici sul terreno prendevano questa nuova piega, a New York era ancora il pomeriggio del 27 e nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite l’Assemblea generale era in sessione speciale di emergenza per votare una risoluzione presentata dalla Giordania (con l’adesione di una quarantina di altri Stati, tra i quali la Russia e i maggiori Paesi musulmani) sul rispetto del diritto umanitario e la protezione dei civili.
L’Assemblea è intervenuta con urgenza dal momento che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, al quale spetta primariamente la competenza su queste materie, è stato ripetutamente incapace di esprimere una propria posizione per via delle spaccature emerse tra i suoi 15 membri.
La risoluzione, non vincolante, introdotta di iniziativa giordana è stata adottata dall’Assemblea Onu con 120 voti a favore e 14 contrari. In base alle norme procedurali dell’Assemblea i 45 astenuti – tra i quali l’Italia – sono stati considerati membri non votanti (ricordiamo che aderiscono all’Onu 193 Stati, vale a dire quasi tutti quelli presenti sul pianeta).
Cosa dice la risoluzione
Il testo si apre esprimendo grave preoccupazione «per l’escalation della violenza dagli attacchi del 7 ottobre e per il grave deterioramento della situazione nella regione, in particolare nella Striscia di Gaza e nel resto dei Territori Palestinesi Occupati, inclusa Gerusalemme Est, e in Israele».
Condanna poi «tutti gli atti di violenza contro civili palestinesi e israeliani, inclusi gli atti di terrorismo e gli attacchi indiscriminati, come pure tutti gli atti di provocazione, incitamento e distruzione».
Richiama la necessità di riaffermare «i principi di distinzione, necessità, proporzionalità e precauzione nella conduzione delle ostilità».
Esprime grave preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e per le vaste conseguenze sulla popolazione civile, inclusi i bambini.
Esprime un deciso appoggio agli sforzi del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e al suo richiamo perché sia consentito un pieno accesso agli aiuti umanitari per rispondere ai bisogni primari della popolazione civile palestinese.
Chiede:
• un’immediata, duratura e concordata tregua umanitaria che porti alla cessazione delle ostilità;
• una fornitura immediata, continua, sufficiente e priva di ostacoli dei beni e servizi essenziali ai civili in tutta la Striscia di Gaza;
• che sia garantita la libertà di movimento e d’azione alle agenzie umanitarie come l’Unrwa, la Croce Rossa e tutte le altre agenzie umanitarie sul territorio;
• che Israele annulli l’ordine d’evacuazione della Striscia a nord del Wadi Gaza, per la popolazione civile, il personale medico e lo staff delle Nazioni Unite.
Rigetta con fermezza ogni tentativo di trasferimento forzato di popolazione civile.
Chiede ancora:
• il rilascio immediato e senza condizioni di tutti i civili che sono illegalmente trattenuti e che devono comunque essere trattati in modo umano e attento alla loro sicurezza e benessere;
• che siano rispettati e protetti, in conformità con il diritto internazionale, gli ospedali e i loro mezzi di trasporto, le scuole, i luoghi di culto, le strutture dell’Onu, insieme al personale medico, ai giornalisti e loro collaboratori, agli operatori umanitari che si trovino nelle aree di conflitto armato.
Sottolinea «l’importanza di prevenire ogni ulteriore destabilizzazione ed escalation della violenza nella regione» e chiede a tutte le parti coinvolte ad operarsi in tal senso.
Riafferma che una giusta e durevole soluzione del conflitto israelo-palestinese può essere raggiunta solo con mezzi pacifici, basati sulle risoluzioni delle Nazioni Unite in materia, in accordo con il diritto internazionale e sul fondamento della soluzione dei due Stati.
Hamas non è menzionato
Il testo approvato non menziona espressamente Hamas in alcun passaggio. Prima del voto il Canada ha presentato un proprio emendamento che prevedeva l’inserimento di poche righe che esprimessero l’inequivocabile rifiuto e la condanna degli attacchi terroristici di Hamas avvenuti in Israele il 7 ottobre 2023 e la richiesta di un trattamento umano degli ostaggi catturati e del loro immediato rilascio senza condizioni. La proposta canadese è stata rigettata, non avendo raccolto i due terzi dei consensi (85 i sì, 55 i no, 23 le astensioni).
È raro che in una delle guerre in atto, o recenti, i principi del diritto umanitario vengano rispettati e applicati (così come è raro che vengano poi sanzionati i responsabili delle violazioni). Anche in questo caso sembra improbabile che le due parti coinvolte – Hamas e Israele – intendano farlo. Per entrambi, ormai, lo scontro è all’ultimo sangue e non si va per il sottile. Gli uni sperano di incendiare l’intero Medio Oriente, gli altri sono disposti a correre il rischio.
Gli appelli Onu per la Striscia
In ogni caso, già nel pomeriggio del 27 ottobre, prima che le operazioni di terra israeliane iniziassero, l’Onu era intervenuta a più riprese con appelli pressanti rispetto alla situazione della popolazione nella Striscia di Gaza.
Un comunicato del segretario generale António Guterres denuncia: «Il sistema umanitario a Gaza è al collasso totale, con conseguenze inimmaginabili per più di 2 milioni di civili. Con l’intensificarsi dei bombardamenti, i bisogni diventano sempre più critici e colossali. Circa 500 camion al giorno entravano a Gaza prima dell’inizio delle ostilità. Negli ultimi giorni sono entrati in media solo 12 camion al giorno, nonostante il fabbisogno sia molto maggiore che mai. Inoltre, le forniture che sono arrivate non includono il carburante per le operazioni delle Nazioni Unite – carburante che è essenziale anche per alimentare gli ospedali, gli impianti di desalinizzazione dell’acqua, la produzione alimentare e la distribuzione degli aiuti».
«Ribadisco – continua Guterres – il mio appello per un cessate il fuoco umanitario, il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi e la consegna di aiuti salvavita nella misura necessaria. La miseria cresce di minuto in minuto. Senza un cambiamento fondamentale, la popolazione di Gaza dovrà affrontare una valanga di sofferenze umane senza precedenti. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Questo è il momento della verità. La Storia ci giudicherà tutti».
Anche il Papa chiede il cessate il fuoco
Dopo l’Angelus di mezzogiorno, domenica 29 ottobre in piazza San Pietro papa Francesco ha nuovamente chiesto di smettere con la guerra in Terra Santa e lo ha fatto riagganciandosi alle parole accorate pronunciate poco prima dal vicario della Custodia di Terra Santa, fra Ibrahim Faltas, raggiunto in diretta, a Gerusalemme, dalla trasmissione di Rai1 A Sua Immagine. Così il Papa: «Ringrazio tutti quanti – in tanti luoghi e in diversi modi – si sono uniti alla giornata di digiuno, preghiera e penitenza che abbiamo vissuto venerdì scorso implorando la pace nel mondo. Non desistiamo. Continuiamo a pregare per l’Ucraina e anche per la grave situazione in Palestina e in Israele e per le altre regioni in guerra. A Gaza, in particolare, si lascino spazi per garantire gli aiuti umanitari e siano liberati subito gli ostaggi. Che nessuno abbandoni la possibilità di fermare le armi. Cessi il fuoco! Padre Ibrahim Faltas – l’ho ascoltato poco fa nel programma A Sua Immagine – padre Ibrahim diceva: “Cessate il fuoco! Cessate il fuoco!”. Lui è il vicario di Terra Santa. Anche noi, con padre Ibrahim, diciamo: cessate il fuoco! Fermatevi, fratelli e sorelle! La guerra sempre è una sconfitta, sempre!»