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Le incognite del dopo Hamas nella Striscia di Gaza

Giuseppe Caffulli
17 ottobre 2023
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Le incognite del dopo <i>Hamas</i> nella Striscia di Gaza
Truppe israeliane a ridosso della Striscia di Gaza, in attesa di entrare in azione il 9 ottobre 2023. (foto Chaim Goldberg/Flash90)

Un dilemma cruciale in questi giorni per i vertici politico-militari israeliani è: inviare oppure no truppe di terra dentro la Striscia di Gaza per una massiccia occupazione di cui è difficile calcolare tutti gli esiti possibili a medio e lungo termine?


È davvero inevitabile che nei prossimi giorni Israele s’imbarchi in una massiccia operazione di terra a Gaza, potenzialmente la più grande degli ultimi quattro decenni? Se lo chiede Lazar Berman, in un articolo uscito il 16 ottobre sul quotidiano digitale The Times of Israel.

Lo stato maggiore dell’esercito si sta preparando, a quanto riportano fonti interne, ad un «attacco coordinato dall’aria, dal mare e dalla terra», con l’intento di cancellare Hamas dalla Striscia di Gaza.

«L’aeronautica israeliana – scrive Berman – ha fatto volare i comandanti delle forze di terra sulla Striscia di Gaza per familiarizzare con il territorio e fornire loro una visione dall’alto delle aree in cui si prevede che l’esercito manovrerà».

Il capo di stato maggiore della Difesa, il generale Herzi Halevi, si è mostrato sicuro: «La nostra responsabilità ora è entrare a Gaza, andare nei luoghi dove Hamas opera e si prepara a colpire. Dobbiamo attaccarli ovunque, ed eliminare ogni comandante, ogni agente, distruggendo le infrastrutture. In poche parole: dobbiamo vincere».

Quattro obbiettivi

Quali sono a questo punto gli obiettivi fissati? «Secondo quanto riportato dall’emittente pubblica Kan – spiega l’opinionista di The Times of Israel – all’interno del gabinetto di guerra circola un documento che definisce quattro obiettivi: rovesciare il governo di Hamas e distruggere le sue capacità militari, eliminare la minaccia terroristica dalla Striscia di Gaza verso Israele, risolvere la questione degli ostaggi e difendere i confini di Israele e i suoi civili».

In che modo questo possa avvenire, è ancora oscuro. Le opzioni sul tappeto hanno tutte altissimi costi umani e (potenzialmente) drammatiche conseguenze. Per prima cosa: una nuova occupazione di Gaza comporta probabilmente il sacrificio di gran parte degli ostaggi. La ragione della loro cattura sta appunto nella possibilità di usarli come elemento di deterrenza (o merce di scambio) in caso d’attacco. In passato sia Hamas sia Hezbollah hanno rilasciato ostaggi solo dopo un accordo sul rilascio di prigionieri detenuti da Israele con l’accusa di terrorismo.

E poi, siamo certi – si chiede Berman – che le manovre di terra porrebbero fine al dominio di Hamas sulla Striscia di Gaza?

Le spiacevoli incognite

La domanda non è peregrina, vista la situazione che si è creata nella Striscia e anche in gran parte della Cisgiordania. Dato che in molti palestinesi alberga un senso di profonda sfiducia verso il Fatah di Abu Mazen, considerato corrotto e compromesso con la politica israeliana, non sembra credibile che la Striscia, una volta liberata da Hamas, possa essere riconsegnata all’Autorità nazionale palestinese. Si prospetterebbe dunque una lunga occupazione, con lo scopo di favorire la nascita di una nuova classe dirigente.

Ma quale classe dirigente potrebbe mai nascere, viene da chiedersi, sotto l’occupazione militare? La storia insegna, sia nella Striscia che su altri fronti (si pensi a quello libanese), che l’esercito israeliano sarebbe esposto a una continua guerriglia, avvallata da una popolazione ostile ed irrequieta.

Le ipotesi di forze internazionali o di contingenti di Paesi arabi vicini impegnate nella gestione del dopo-Hamas appaiono ad oggi improbabili e fantasiose, anche perché nei Paesi arabi e/o a maggioranza musulmana l’opinione pubblica è oggi fortemente polarizzata in chiave anti-israeliana. E nessuno sembra ansioso di prendersi questa patata bollente. Come giustificare infatti l’invio di truppe in uno scenario di guerra provocato (a detta loro) dalle ingiustizie continuamente subite dal popolo palestinese?

In un contesto come quello della Striscia, anche se fosse mai debellato Hamas, la prospettiva più probabile – spiega il commentatore – è che altre forze jihadiste si daranno da fare per intercettare il malcontento della gente e le attese deluse di intere generazioni cresciute nelle privazioni e nella più bieca violenza.

Quale strada percorrere allora per sconfiggere Hamas senza restare impantanati in una palude senza sbocchi? Come raggiungere i quattro obiettivi che Israele si è dato pagando il minor prezzo possibile? E qual è il prezzo ritenuto accettabile? È questa la vera sfida che il gabinetto di guerra del primo ministro Benjamin Netanyahu e i vertici militari sono chiamati ad affrontare.

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