(g.s.) – Quando è andata bene, ci hanno messo nove ore le truppe israeliane a raggiungere in forze le località israeliane tutt’intorno alla Striscia di Gaza, devastate dagli uomini di Hamas (e di altre milizie armate palestinesi) sabato 7 ottobre 2023. È servito altro tempo per evacuare i feriti e gli scampati alla furia omicida e “bonificare” la zona dalla presenza di terroristi.
Dall’alba di quel tragico shabbat a buona parte del giorno dopo i cittadini hanno dovuto cavarsela da soli, anche perché molti degli agenti di sicurezza e dei giovanissimi soldati rimasti nelle vicine caserme erano stati sorpresi e uccisi nell’inaspettata incursione.
I gruppi di soccorso beduini
I media israeliani raccolgono le testimonianze di quelle drammatiche ore. E raccontano – come hanno fatto i quotidiani Maariv e, con un lungo articolo del 12 ottobre, Haaretz – anche la mobilitazione dei beduini arabi accampati qua e là nel deserto del Neghev. Gente che non raramente i vari governi di Israele hanno preso a pesci in faccia, rifiutandosi di riconoscerne agglomerati e accampamenti, così privati di servizi essenziali o costretti a sloggiare.
Gli uomini di queste tribù beduine conoscono il territorio come il palmo della propria mano e quando la notizia degli eccidi in atto nel sud di Israele li ha raggiunti hanno compreso che potevano fare qualcosa. Haaretz racconta di 600 volontari del clan Azazmeh che coordinati da uno di loro, Sleman Shlebe, sono accorsi con i loro quad (motoveicoli fuoristrada a quattro ruote) per contribuire – suddivisi per squadre – ai soccorsi e alla ricerca degli israeliani (e stranieri) dispersi.
Il passaparola ha subito fatto sì che i numeri di telefono di questi gruppi di soccorso disarmati raggiungessero i parenti in ansia per la sorte dei loro cari che si trovavano nei kibbutz o avevano partecipato al rave-party Supernova organizzato nei pressi di Re’im.
«Abbiamo ricevuto decine di telefonate e messaggi di genitori che ci chiedevano di aiutarli a scoprire cosa fosse successo ai loro figli, e di persone che, dalle loro case o dai campi, ci chiedevano di andare a salvarle. Abbiamo cercato di rispondere a tutti ed aiutare tutti quelli che potevamo, ma sfortunatamente per molti di loro era troppo tardi», ha raccontato Shlebe al quotidiano Haaretz.
Altri gruppi di beduini hanno contribuito alla cattura di qualche terrorista. È accaduto a un gruppo di residenti del villaggio di Bir Hadaj che già da tempo fanno parte di un corpo volontario di protezione civile che abitualmente opera in coordinamento con l’esercito, la polizia, i vigili del fuoco e altri servizi di emergenza israeliani. Il coordinatore del gruppo, Abu Habak, lunedì 9 ha consegnato ai soldati un terrorista ormai disarmato, individuato e catturato dai volontari presso la base militare di Tze’elim.
Secondo i media israeliani non sono pochi i beduini che ora chiedono di essere arruolati per partecipare alla mobilitazione generale determinata dallo stato di guerra dichiarato dal governo israeliano.
Volontari arabi ed ebrei nelle città
Altri cittadini arabi si sono mobilitati insieme ai connazionali ebrei, militari e civili. A Tel Aviv la chat di messaggistica WhatsApp è servita a creare tempestivamente un gruppo “misto” che mira a proteggere i residenti locali, indipendentemente dalla religione o dall’origine etnica, qualora dovessero scoppiare scontri tra loro, come successe nel maggio 2021, a margine di un’altra campagna militare sulla Striscia di Gaza.
Gruppi simili sono attivi anche in municipalità a ridosso di Haifa. Nella città portuale della Galilea – popolata da arabi ed ebrei – è ancora vivo il ricordo dell’estate 2006 quando dal cielo piovevano i razzi di Hezbollah, lanciati dal Libano. Alacremente, molti volontari, in questi giorni, si sono dedicati a togliere le erbacce dagli ingressi dei rifugi antiaerei pubblici e a ripulire gli ambienti interni trascurati e inutilizzati da anni. Occorre essere preparati alle peggiori evenienze.
Contrastare l’odio e la rabbia
Mentre Israele è sotto choc per eventi tra i più terribili della sua storia recente è alto il rischio di perdere il controllo e lasciar prevalere la collera, lacerando ancora di più il tessuto sociale. D’altronde, in alcune località dei Territori occupati di Cisgiordania – secondo quanto riferiscono l’agenzia palestinese Wafa e la stampa israeliana – i coloni hanno dato il via alla caccia all’arabo e vi sarebbero decine di vittime. Lasciar dilagare l’odio sarebbe disastroso per tutti.
Il che offre ai media israeliani una ragione in più per cercare di contenere l’esasperazione, mettendo in luce che il lutto di Israele è condiviso da tutti i suoi cittadini, ebrei ed arabi.