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I palestinesi e Hamas, non un idillio

Manuela Borraccino
31 ottobre 2023
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I palestinesi e <i>Hamas</i>, non un idillio
Il mercato centrale di Rafah, nella Striscia di Gaza, in uno scatto del maggio 2023. (foto Abed Rahim Khatib/Flash90)

Indagini demoscopiche condotte a Gaza e in Cisgiordania nei dieci giorni precedenti l’attacco di Hamas ai kibbutz intorno alla Striscia rivelano la disaffezione dei cittadini di Gaza e della Cisgiordania rispetto ai loro leader politici.


Vari sondaggi condotti nei mesi scorsi dal Palestinian Center for Policy and Survey Research di Ramallah, il principale istituto demoscopico palestinese diretto dal politologo Khalil Shikaki, rivelavano quanto sia sbagliato, pericoloso e fuorviante non distinguere tra Hamas e la popolazione di Gaza. La conferma arriva da un ulteriore sondaggio condotto tra i palestinesi dallo stesso centro studi in collaborazione con l’istituto di ricerca internazionale Arab Barometer fra il 28 settembre e l’8 ottobre su un campione composto da 790 persone interpellate in Cisgiordania e 399 a Gaza (le interviste a Gaza sono state completate il 6 ottobre), pubblicato lo scorso mercoledì 25 ottobre dall’autorevole rivista statunitense Foreign Affairs.

Il sondaggio rivela che i gazesi si fidano ben poco del governo guidato da Hamas. Alla domanda diretta sul livello di fiducia, il 44 per cento degli intervistati ha risposto di non fidarsi affatto di Hamas, seguito da un 23 per cento che dice di nutrire «non molta fiducia». Solo il 29 per cento dei gazesi ha affermato di avere «molta» o «abbastanza» fiducia nel proprio governo. Inoltre, il 72 per cento ha segnalato un ampio (24 per cento) o medio (38 per cento) livello di corruzione nelle istituzioni governative. Solo una minoranza riteneva che il governo stesse compiendo mosse significative per affrontare il problema. In Cisgiordania soltanto il 17 per cento – prima del precipitare della situazione con gli eccidi del 7 ottobre – si dichiarava a favore di Hamas.

Alla domanda su chi voterebbero in eventuali elezioni presidenziali a Gaza fra il leader di Hamas Ismail Haniyeh (residente in Qatar, a Doha), il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas e il leader del Comitato centrale del partito Fatah Marwan Barghouti, che sta scontando cinque ergastoli in Israele per attentati terroristici durante la Seconda intifada, a quest’ultimo andrebbe il 32 per cento dei consensi, mentre solo il 24 per cento voterebbe per Haniyeh, il 12 per cento per l’ormai 88enne Abbas e il 30 per cento degli interpellati ha detto che non parteciperebbe alle elezioni. Né a Gaza va meglio per l’Anp, attualmente al governo in Cisgiordania: una relativa maggioranza (il 52 per cento) considera l’Autorità palestinese un peso per il popolo e il 67 per cento vorrebbe, da tempo, le dimissioni di Abbas. La gente di Gaza è completamente disillusa rispetto a Hamas e all’intera leadership palestinese. Il giudizio non si discosta molto tra i palestinesi in Cisgiordania: qui il sostegno per Fatah è, come a Gaza, del 30 per cento. In un’ipotetica elezione presidenziale Barghouti riscuoterebbe il 35 per cento dei consensi, mentre solo l’11 per cento voterebbe per Haniyeh e appena il 6 per cento per Abbas: circa la metà, il 47 per cento, ha dichiarato che non andrebbe a votare.

Secondo Khalil Shikaki questi risultati sono in gran parte dovuti alla catastrofica situazione economica dei palestinesi, con una differenza relativa fra chi vive in Cisgiordania rispetto a chi risiede nella Striscia. Secondo i dati della Banca mondiale il tasso di povertà a Gaza è salito dal 39 per cento nel 2011 al 59 per cento nel 2021. Nel sondaggio condotto nelle scorse settimane, il 78 per cento degli interpellati ha indicato di avvertire nel quotidiano la scarsità di beni di prima necessità e il 75 per cento ha segnalato difficoltà per il costo del cibo, quando è disponibile.

I ricercatori sottolineano che i gazesi attribuiscono la mancanza di cibo più a problemi interni che al blocco imposto da Israele nel 2007 e alle limitazioni dell’Egitto: il 31 per cento pensa che la causa sia la malagestione del governo di Hamas e il 26 per cento evoca l’inflazione. È vero che dopo il 7 ottobre questa percezione potrebbe esser cambiata visto che Israele ha tagliato le forniture di acqua, cibo, elettricità e carburante. Ma è un dato di fatto che in Cisgiordania il reddito pro capite è di circa 4.000 dollari l’anno, mentre a Gaza è di 1.000 dollari all’anno. Questo è il motivo per cui il 62 per cento dei gazesi rifiuta il governo di Hamas e ancora quattro mesi fa i cittadini più giovani della Striscia hanno manifestato contro Hamas per la povertà dilagante. Ecco perché, rimarcava Shikaki giorni fa, faceva comodo anche a Israele che Hamas governasse Gaza, nonostante il malcontento nella Striscia: Hamas rappresenta il volto brutto nei palestinesi. Nel 2015 l’attuale ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich – esponente della destra più estrema, razzista dichiarato e sostenitore dei coloni – «disse che Hamas era un grande asset per Israele: finché Hamas controlla Gaza, questo è il volto dei palestinesi che presenteremo alla comunità internazionale: serve i nostri interessi».

È in qualche modo sorprendente infine che anche su quale possa essere la soluzione al conflitto israelo-palestinese, ai primi d’ottobre i gazesi non vedessero grosse alternative alla soluzione dei due Stati, benché trent’anni dopo gli Accordi di Oslo quell’ipotesi appaia non più realistica, considerata la situazione sul terreno. Il 54 per cento degli interpellati (erano il 58 per cento nel 2021) si è espresso infatti a favore di uno Stato palestinese accanto a quello di Israele con i confini precedenti alla Guerra dei Sei giorni nel 1967, mentre solo il 10 per cento è a favore di una confederazione israelo-palestinese con libertà di movimento per i cittadini e appena il 9 per cento appoggia un unico Stato per israeliani e palestinesi. Il 73 per cento dei gazesi interpellati si dichiarava (fino al 6 ottobre) a favore di una soluzione pacifica al conflitto in corso dal 1948; solo il 20 per cento era per uno scontro armato con Israele.

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