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Giochi pericolosi nello scacchiere mediorientale

Elisa Pinna
24 ottobre 2023
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Mentre nei cieli proseguono bombardamenti e lanci di razzi dalla e sulla Striscia di Gaza, un massiccio dispiegamento di truppe di terra israeliane è pronto a regolare i conti con Hamas, dopo gli orrori del 7 ottobre scorso. Su altri fronti, vediamo come si muovono gli sciiti anti-israeliani in Libano, Iran, Siria, Iraq e Yemen.


La popolazione civile dell’Alta Galilea è stata evacuata. Kyriat Shmona, a due chilometri dal confine libanese, è diventata una città fantasma. Carri armati e artiglieria israeliani sono stati posizionati insieme a reparti di riservisti e unità speciali. Israele dice ormai apertamente di essere pronto ad una nuova guerra contro Hezbollah e persino a colpire l’Iran, se gli attacchi della milizia libanese alleata dei pasdaran, ripresi nelle ultime due settimane in risposta ai bombardamenti di Israele su Gaza, non cesseranno. Ogni conflitto è diverso dagli altri e fare previsioni su quello che accadrà in Medio Oriente nelle prossime ore o settimane è impossibile. Mentre un dispiegamento di forze di invasione, mai visto negli ultimi 40 anni, è in attesa dell’ordine di entrare via terra nella Striscia di Gaza, c’è da chiedersi come si stia organizzando il cosiddetto «asse della resistenza» sciita anti-israeliano, che va dal Libano all’Iran, includendo Siria, Iraq e Yemen.

• Libano. L’ultima cosa di cui ha bisogno il Paese dei Cedri, nella sua situazione economica, sociale e politica disastrosa, è un nuovo conflitto con Israele. Hezbollah è cosciente di ciò e si sta muovendo sul filo del rasoio. L’obiettivo, ha spiegato il vice comandante di Hezbollah, Naim Kassam, parlando a un funerale sabato scorso, è quello di trattenere una parte dell’esercito israeliano al cosiddetto fronte nord, indebolendo così l’offensiva di terra su Gaza. Da segnalare che, per la prima volta in 20 anni, Hezbollah ha consentito ai miliziani di Hamas e del Jihad islamico provenienti dai campi profughi in Libano, di accedere al fronte. Nelle ultime ore – secondo molti osservatori – le schermaglie in corso nelle ultime due settimane sono cresciute di livello e di intensità. Gli israeliani hanno spostato a nord quattro divisioni. Rispetto alla guerra del 2006, Hezbollah, grazie agli aiuti militari iraniani, possiede una potenza di fuoco e una capacità militare ben superiore.

• Siria. Nel giro di una decina di giorni, Israele ha bombardato per due volte gli aeroporti di Damasco e di Aleppo, rendendoli inagibili. L’obiettivo di Israele è impedire che, nelle prossime settimane, le piste possano essere utilizzate militarmente per rifornire di armi proprio formazioni come Hezbollah.

• Iraq. Nelle ultime settimane le milizie irachene filo-iraniane hanno attaccato per tre volte, l’ultima sabato scorso, le basi militari statunitensi nel Paese, come rappresaglia al sostegno dell’amministrazione Biden a Israele. Attualmente Washington schiera circa 2.500 militari in Iraq, nell’ambito della missione internazionale contro il sedicente Stato islamico (Isis). Le Brigate Hezbollah irachene hanno intimato agli americani di lasciare immediatamente il Paese o «assaggeranno le fiamme dell’inferno». Per ora, nessuno ha ipotizzato azioni dirette contro Israele.

• Yemen. Gli Houthi, lo scorso giovedì, hanno lanciato missili e droni, intercettati dal cacciatorpediniere statunitense Carney, in pattugliamento nel Mar Rosso e potenzialmente diretti – secondo quanto riferito da un portavoce del Pentagono – verso Israele. In passato, gli Houthi sono riusciti a colpire in profondità l’Arabia Saudita. Se però i loro missili siano in grado di raggiungere effettivamente il territorio israeliano è un’altra questione.

• Iran. È considerato il regista di tutto ciò che di anti-occidentale succede in Medio Oriente. Teheran possiede la capacità missilistica di colpire Israele, ma è improbabile – secondo la maggioranza degli analisti – che ne faccia direttamente uso, ricorrendo piuttosto alle azioni militari delle milizie sciite di altri Paesi e in particolare di Hezbollah. Il regime iraniano gioca su un doppio binario. Da un lato il susseguirsi di minacce e mobilitazioni anti-israeliane servono a rafforzare, in tutto il mondo islamico, l’immagine e la popolarità di un Paese che ha sempre sostenuto la causa palestinese: ultima iniziativa in ordine di tempo è quella della televisione nazionale che – durante la partita amichevole di calcio Iran-Qatar, il 17 ottobre scorso – ha registrato nei sottotitoli l’adesione di quattro milioni di giovani iraniani pronti ad andare a combattere a Gaza. Esiste però un altro binario, quello diplomatico, che si snoda sotto traccia per raffreddare la situazione. Si parla con insistenza di colloqui segreti tra Teheran e Washington. Notizia vera o verosimile? In fondo i due Paesi non hanno mai interrotto i contatti e potrebbero trovare stavolta qualcosa in comune. È vero che l’amministrazione Biden ha mandato le sue portaerei nel Mediterraneo orientale per proteggere Israele, ma è anche vero che gli Stati Uniti temono un’escalation internazionale, e premono su tutti i loro interlocutori nell’area – governo israeliano incluso – perché ciò non accada. Pressioni ben più forti sono rivolte all’Iran perché mantenga una linea di prudenza e tenga sotto controllo i suoi alleati regionali, a partire da Hezbollah. Teheran, in certa misura, potrebbe mostrare una qualche flessibilità. Da questa tragedia israelo-palestinese, un suo tornaconto lo ha già ottenuto. Una delle prime conseguenze del feroce blitz terroristico del 7 ottobre, in cui Hamas ha ucciso 1.400 israeliani e ne ha presi oltre 200 in ostaggio, è stata quella di affossare l’imminente trattato di amicizia tra Israele e Arabia Saudita, temuto dai palestinesi innanzitutto – che si sarebbero sentiti ulteriormente messi in un angolo – ma anche da diversi Paesi mediorientali, tra cui l’Iran, allarmato da un riassetto regionale tutto a suo sfavore. Resta però da vedere cosa succederebbe in caso di un attacco diretto di Israele alla Repubblica Islamica.

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