Nelle vele dell'accordo di amicizia tra Arabia Saudita e Israele, sempre più vicino, soffia un vento che spira da Washington, come contraltare all'attivismo cinese. Riyadh vuole il via libera per dotarsi di energia nucleare e intanto si destreggia come può con la questione palestinese.
Martedì 26 settembre Haim Katz è stato il primo ministro di Israele, come titolare del dicastero del Turismo, a guidare una delegazione ufficiale in Arabia Saudita, per partecipare a una conferenza organizzata dall’Organizzazione mondiale del turismo, un’agenzia delle Nazioni Unite. Contemporaneamente Nayef al-Sudairi – ambasciatore saudita in Giordania e ora anche primo ambasciatore, non residente, presso l’Autorità nazionale palestinese – presentava le lettere credenziali a Ramallah, dichiarando che il suo Regno «lavora perché sia stabilito uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale». Insomma, c’è un gran traffico sulle autostrade della diplomazia tra lo Stato ebraico e il più potente degli Stati arabi. Perché sì, anche la visita dell’ambasciatore di Riyadh in Palestina (un fatto senza precedenti da quanto esiste l’Autorità nazionale palestinese, frutto degli accordi di Oslo del 1993 – ndr) ha a che fare con il complesso processo di distensione tra Arabia Saudita e Israele patrocinato dagli Stati Uniti.
La Casa Bianca è così tentata dall’idea di conciliare i due vecchi nemici – e così ribattere alla mossa della Cina che ha avviato la distensione tra Arabia Saudita e Iran – da mettere sul piatto diverse concessioni importanti. Due soprattutto. La prima riguarda un patto di mutua assistenza militare che impegnerebbe l’un Paese a intervenire se l’altro fosse attaccato. È ovvio che pare più probabile che siano gli Usa a dover correre in soccorso dei sauditi, e la cosa sta facendo infuriare parecchi americani, che temono di ritrovarsi a combattere una guerra che non avrebbero nemmeno dichiarato. Così, in un sondaggio condotto a fine agosto da Harris Poll e dal Quincy Institute for Responsible Statecraft, il 55 per cento dei democratici e dei repubblicani si è detto contrario al patto, anche considerando che gli Usa già tengono tremila soldati nel Regno saudita.
L’altra concessione che il principe ereditario Mohammed bin Salman sta contrattando riguarda il programma nucleare saudita. Per fare ufficialmente (perché ufficiosamente già ci siamo) la pace con Israele, l’Arabia Saudita chiede che gli Usa l’aiutino a sviluppare il suo programma per il nucleare civile, ovviamente giurando e spergiurando che solo di civile si tratta, senza alcuna ambizione militare. A pensar male si fa peccato ma la verità è che delle promesse di Mohammed bin Salman sono pochissimi a fidarsi. Tanto più che gli Usa stanno trattando sul nucleare anche con l’Iran e difficilmente i sauditi accetterebbero un accordo tra Washington e Teheran in assenza di un accordo tra Washington e Riyadh. Ma chi vorrebbe, anche solo in ipotesi, mettere una bomba atomica in mano ai sauditi delle stragi nello Yemen, dopo essersi tanto preoccupati di non far ottenere la bomba ai pasdaran iraniani?
Che cosa c’entrano, in tutto questo, i palestinesi? Sono il solito, vecchio problema dei sauditi. Per non attirarsi il risentimento di mezzo mondo arabo, non possono dare l’impressione di trattare un accordo con Israele che non preveda almeno qualche concessione per i palestinesi. Ma quale? L’ipotesi dell’ambasciatore al-Sudairi (uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale) al momento è pura fantascienza. Qualcosa però deve arrivare, anche perché un patto tra Israele e Arabia Saudita che non consideri i palestinesi sarebbe una vittoria enorme per l’ultradestra israeliana e una grossa sconfitta per la leadership saudita. L’unica cosa certa, al momento, è che nelle stanze più nascoste si tratta.