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Riapre a Sana’a il Museo nazionale

Elisa Pinna
15 giugno 2023
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È un segnale di speranza e di fiducia in un possibile nuovo clima di pace. Ma anche l'occasione per mettere in luce la devastazione e il saccheggio subiti dal patrimonio culturale, artistico, archeologico yemenita in tempo di guerra.


L’ingresso del Dar el-Sada, il Palazzo della Felicità a Sana’a, è annerito, l’insegna impolverata, ma il Museo nazionale yemenita, dopo una decennale chiusura, ha riaperto a maggio le porte ai visitatori, scommettendo sugli spiragli di negoziato e i tentativi di tregua in corso per porre fine ad una guerra che, dal 2014, ha devastato lo Yemen, facendolo precipitare in una delle più gravi catastrofi umanitarie del mondo. Per la riapertura del museo sono state inaugurate tre mostre: la prima espone 800 opere d’arte e manufatti antichi, recuperati e restaurati. La seconda è dedicata a materiale archeologico proveniente dalla provincia di Jawf, una regione a ridosso del confine saudita. La terza è una esposizione fotografica di opere preziose depredate e mai più riapparse.

Il saccheggio del patrimonio artistico e culturale yemenita è finito in secondo piano, rispetto alle devastazioni della guerra, che ha visto centinaia di migliaia di vittime e quattro milioni di sfollati. Tuttavia, il conflitto in Yemen è stato ed è anche questo: una sistematica distruzione e una razzia brutale di antichi castelli e fortezze, di moschee, di mura cittadine, di luoghi sacri sufi, di aree residenziali, di musei e biblioteche.

Tutte le parti in guerra ne portano le responsabilità e hanno approfittato di saccheggi e ruberie per autofinanziarsi: dai ribelli houthi filoiraniani ai governativi di Aden, sostenuti dai sauditi, fino alle milizie locali e ad Al Qaeda, che in Yemen mantiene sue roccaforti. Il sito del Middle East Eye riferisce che circa un milione di oggetti antichi (libri, sculture, statuette votive, ceramiche, utensili e armi in metallo) sono stati trafugati durante il conflitto e sono finiti ad alimentare un mercato nero dell’arte, mai così fiorente. Si tratta di beni per un valore incalcolabile.

Taluni manufatti risalivano al primo millennio avanti Cristo, quando la mitica regina di Saba si recava a Gerusalemme per donare al re Salomone spezie e pietre preziose. Lo Yemen era allora una regione ricchissima e strategica nei commerci tra Mediterraneo e Oriente. I romani l’avrebbero ribattezzata Arabia felix. Oggi è il più povero e arretrato tra i Paesi arabi. Pezzi di patrimonio yemenita riappaiono di tanto in tanto nelle grandi aste che si svolgono negli Stati Uniti, a Londra e in altre capitali europee. Oltre 4 mila opere sono state vendute pubblicamente all’estero negli ultimi anni, secondo il tracciamento del Centro yemenita di studi archeologici al Hudhud. Altre migliaia sono state sequestrate, alcune restituite e la maggior parte sono ancora in attesa di restituzione.

Il Museo nazionale di Sana’a ha deciso di rimettere in mostra ciò che si è salvato. Le fotografie della riapertura delle sale del Palazzo del Paradiso, pubblicate da alcuni giornali arabi, mostrano i primi visitatori quasi increduli, davanti a capitelli di pietra di epoche preislamiche, con volti umani o di montoni, statue bronzee di Dhammar Ali, uno dei fondatori del Regno himyarita di Saba, risalente al primo secolo avanti Cristo, teche contenenti piatti intarsiati e scimitarre dorate della prima era musulmana. Dal giorno della riapertura, lo scorso 18 maggio, studiosi, scolaresche, famiglie, appassionati visitano quotidianamente il museo, secondo quanto scrivono i giornali locali.

Il Museo nazionale yemenita fu fondato nel 1971 e la sua prima sede fu nel Palazzo della Gratitudine, il Dar al-Shukr, un edificio dalla tipica architettura di Sana’a eretto nel 1930, nell’ultima fase dei regni imamiti, ovvero dei sovrani religiosi sciiti, installati da secoli nel nord del Paese. Dagli anni Novanta si è trasferito nell’adiacente Palazzo imamita del Paradiso, ristrutturato e considerato più adatto, con la sua struttura spaziosa a quattro piani, per contenere le migliaia di manufatti ed opere antiche possedute a quei tempi. Nei decenni passati era una tappa obbligata per i turisti che giungevano in Yemen. Poi la crescente instabilità politica e sociale, la mancanza di fondi, il crollo del turismo avevano costretto il museo a chiudere già nel 2013, poco prima che scoppiasse apertamente il conflitto.

I portoni sono rimasti ovviamente serrati quando gli Houthi hanno conquistato la capitale, costringendo il governo riconosciuto internazionalmente ed alleato dell’Arabia Saudita a fuggire ad Aden. La guerra civile si è poi trasformata in una resa dei conti regionale, con un intervento diretto di Riyadh e degli Emirati Arabi Uniti e un intervento indiretto, armi e fondi per gli Houthi, da parte di Teheran.

Da alcuni mesi però, con la riconciliazione diplomatica tra Iran e Arabia Saudita, patrocinata dalla Cina, il clima sembra essere cambiato. Si sono riaccese le speranze e ora la riapertura del Palazzo del Paradiso segnala il desiderio, in un settore sotto comando Houthi, di un ritorno a una qualche normalità.

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