La disoccupazione femminile palestinese è triplicata negli ultimi vent’anni. E il 93 per cento delle diplomate non lavora. Israele dovrebbe alleggerire le restrizioni sulla mobilità delle persone, osserva il Fondo monetario internazionale nel suo rapporto annuale.
Negli ultimi vent’anni la domanda di lavoro nell’economia palestinese non ha tenuto il passo con la crescita dell’offerta. Tra il 2000 e il 2021 c’è stato un aumento di 35mila nuovi lavoratori all’anno, mentre appena 20.200 nuovi posti sono stati creati annualmente nel mercato del lavoro interno e 1.800 palestinesi in più rispetto al 2019 hanno trovato lavoro in Israele e negli insediamenti in Cisgiordania. È questo il motivo per cui il tasso di disoccupazione è aumentato dal 14,3 per cento nel 2000 al 26,4 per cento nel 2021. Quel che risulta «particolarmente sconfortante» è il mancato ingresso delle donne del mondo del lavoro, rimarca l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale (Fmi) sull’andamento economico nei Territori occupati e nella Striscia di Gaza. «I tassi di partecipazione femminile alla forza lavoro – si legge – rimangono tenacemente bassi; tra i più bassi al mondo: appena il 15,5 per cento». Oltretutto il tasso di disoccupazione femminile è più che triplicato dal 2000 al 2021, passando dal 12,4 per cento al 43 per cento (quello maschile nello stesso periodo è salito dal 14,6 al 22,4 per cento).
Quasi tutte le disoccupate sono diplomate o laureate
Malgrado l’aumento dell’istruzione femminile negli ultimi decenni, tra Cisgiordania e Striscia di Gaza oggi lavora soltanto una donna ultraquindicenne su dieci. Il dato più amaro è infatti che la stragrande maggioranza delle donne disoccupate, ovvero di chi cerca un lavoro, sono giovani (sotto i 34 anni) e con un alto livello di istruzione (il 93 per cento ha quanto meno il diploma delle scuole superiori, mentre appena un terzo dei maschi disoccupati ha ottenuto lo stesso grado di istruzione). A parità di competenze, una donna ci mette il doppio del tempo rispetto a un uomo a trovare un lavoro (20 mesi contro i 10 dei maschi). Il tasso di disoccupazione giovanile (fascia tra i 15 e i 29 anni) supera il 33 per cento alla fine del 2022 (ma sfonda quota 60 per cento a Gaza), con le giovani donne disoccupate al 53 per cento.
Divario di genere nella ricerca di lavoro e nei salari
Le universitarie palestinesi studiano, per lo più, Scienze sociali: il 73 per cento delle occupate lavora nel mondo della scuola, della pubblica amministrazione, della sanità e servizi sociali. L’insegnamento resta tra le professioni che maggiormente consentono una conciliazione di tempi fra vita familiare e lavorativa, mentre lavorare nella sanità viene socialmente accettato. Il gender gap riguarda ovviamente anche i salari: a parità di qualifiche, gli stipendi delle donne sono in media per un terzo più bassi di quelli dei colleghi in quasi tutti i settori. Non decolla neppure l’imprenditoria femminile: appena il 9 per cento delle imprese private è guidato da donne.
Un terzo dei palestinesi non studia e non lavora
Dal rapporto si evince come alla fine del 2022 risultasse di appena il 45 per cento il tasso di partecipazione alla forza lavoro della popolazione palestinese in età lavorativa (3,3 milioni, dei quali il 51 per cento uomini e il 49 per cento donne). Secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese, più di metà della popolazione tra i 15 e i 64 anni risulta fuori sia dal mercato del lavoro formale che da quello informale. Appena un terzo risulta impiegata. Un altro terzo non lavora, non studia e non è in formazione (sono i cosiddetti Neet, acronimo di Not in education, employment or training – ndr). La quota include 860mila donne considerate “casalinghe” nelle ricerche e sondaggi palestinesi.
Al dicembre 2022 il tasso di disoccupazione ufficiale, ovvero quello di chi cerca attivamente un lavoro, risultava del 23,4 per cento. Fra gli occupati i due terzi si trovano nel privato, mentre il 21 per cento lavora nel pubblico ed il 13 per cento in Israele e insediamenti. In vent’anni si sono persi 10mila posti di lavoro nell’agricoltura, mentre 43mila sono stati creati nel settore delle cave ed estrazioni e nella manifattura, 50mila nell’edilizia abitativa e 300mila nei servizi.
Nessuna crescita se Israele non rimuove gli ostacoli ai movimenti
Le conclusioni del rapporto parlano chiaro. Favorire la creazione di posti di lavoro nel settore privato nei servizi commerciali ad alta produttività potrebbe assorbire gli ingressi con più istruzione nel mercato del lavoro, mentre le politiche dell’Autorità palestinese potrebbero aumentare la partecipazione e l’occupazione femminile. Le politiche attive per il lavoro tuttavia non bastano: non può esserci crescita economica se Israele non rimuove le centinaia di check-point disseminati nei Territori occupati e non pone fine al blocco nella Striscia di Gaza. Mobilità di persone e merci, crescita dell’occupazione e aumento del Pil vanno di pari passo.