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Yiddish, una lingua feconda

Giulia Ceccutti
2 maggio 2023
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Yiddish, una lingua feconda

Anna Linda Callow, traduttrice da ebraico, yiddish e aramaico – oltre che docente di Lingua e letteratura ebraica all’Università di Milano – descrive in questo libro l’epopea di una lingua ibrida: un misto di ebraico e tedesco con forti influssi slavi.


Basterebbe dare un’occhiata ai ringraziamenti finali per farsi un’idea di ciò che questo libro è : un portato di anni di studi, letture, confronti con maestri di varie discipline e, soprattutto, tanta passione.

Una passione dichiarata fin dalle prime pagine, insieme agli intenti perseguiti: «Questo libro non ha alcuna pretesa di essere un saggio accademico di storia della lingua o della letteratura yiddish. Non è sistematico – anche se segue un filo cronologico – e riflette le mie inclinazioni personali».

Anna Linda Callow, traduttrice da ebraico, yiddish e aramaico, oltre che docente di Lingua e letteratura ebraica all’Università degli Studi di Milano, descrive qui l’avventurosa epopea di una lingua dalla natura ibrida: un misto di ebraico e tedesco con forti influssi slavi. Lo fa narrando storie e approfondendone le opere letterarie più significative, appartenenti anche ai secoli in generale meno studiati. Il tutto sullo sfondo dei passaggi storici che esercitarono maggiore influenza.

Il volume segue di qualche anno La lingua che visse due volte (Garzanti, Milano 2019), libro dedicato all’universo dell’ebraico, lingua più volte citata anche qui, spesso come lingua “parallela”, ma anche storicamente in contrapposizione, allo yiddish.

Scopriamo innanzitutto che il termine yiddish ha una doppia valenza, significa infatti «relativo agli ebrei in generale», ma anche «relativo alla lingua degli ebrei ashkenaziti». Apprendiamo poi che lo yiddish oggi è parlato quotidianamente da circa 400mila persone, che vivono principalmente in Israele e negli Stati Uniti. Un secolo fa a parlarlo erano oltre dieci milioni di persone. L’influenza esercitata dalla cultura yiddish sulla contemporaneità fa davvero riflettere. È sufficiente nominare in proposito il cinema di Woody Allen e dei fratelli Cohen, insieme ad autori quali Chaim Potok, il premio Nobel Isaac Bashevis Singer, Saul Bellow e Mordecai Richler.

Sono molteplici le figure di spicco di cui vengono qui ricordate le opere. Su tutti si stagliano, naturalmente, i tre padri della letteratura yiddish, Mendele Moykher Sforim, Sholem Aleykhem e Yitskhok Leybush Peretz, vissuti tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni della prima guerra mondiale.

Accanto ad essi vengono però suggeriti anche diversi personaggi poco noti, ma decisamente interessanti. È il caso, ad esempio, di Glikl Hamel (1646-1724), donna di notevole talento narrativo. A lei si deve un libro di memorie che interseca la cronaca della sua vita con un gran numero di storie, tratte dalla tradizione ebraica e da quella europea. O di Salomon Maimon (1754-1800), personaggio emblematico e di frattura, successivamente imitato, nel suo percorso, da moltissimi giovani ebrei: «Un percorso concreto, dai territori del Regno di Polonia e Lituania a Berlino, e al tempo stesso intellettuale, dalla letteratura talmudica e cabalistica al pensiero filosofico-scientifico occidentale, passando per le dottrine del filosofo ebreo medievale Maimonide in onore del quale scelse il suo nuovo nome».

Ampio rilievo è attribuito poi alla produzione della vastissima diaspora yiddish in America, significativamente chiamata goldene medine, ossia «Stato d’oro». Oltre due milioni di ebrei giunsero infatti dall’Europa negli Stati Uniti tra il 1881 e la metà degli anni Venti del Novecento. Tale emigrazione di massa aprì alla cultura yiddish moderna e alle sue svariate declinazioni (in primis «un’attivissima stampa, che copriva tutte le posizioni politiche, una letteratura secolare, un teatro e anche una cinematografia») nuove, inaspettate possibilità, la cui eco è presente ancora oggi.

Ritornano infine nel discorso numerosi, efficaci, modi di dire yiddish, che aiutano a entrare nelle pieghe e nello spirito di questa lingua affascinante. Alcuni esempi: «arop a shteyn funem hartsn, mi è rotolata giù una pietra dal cuore»; «nito keyn shabes tsu makhn, non c’era di che mettere insieme il pranzo per il sabato»; o ancora: «con una coda di porco non si può fare uno shtrayml» (copricapo bordato di pelliccia indossato dagli ebrei “ultraortodossi” e realizzato con code di volpi, come specificato dall’autrice).

A chiusura del testo viene fornita una bibliografia commentata, che risulta uno strumento utile anche al lettore italiano che si accosta per la prima volta al mondo descritto.

In conclusione, La lingua senza frontiere ha il pregio di raccontare in modo agile e accessibile a tutti la parabola di una lingua, tema che normalmente tocca la cerchia ristretta degli addetti ai lavori. Contribuiscono a tale immediatezza il linguaggio chiaro e l’onnipresente ironia, che non di rado assume i tratti di una piacevole autoironia.


Anna Linda Callow
La lingua senza frontiere
Fascino e avventure dello yiddish
Garzanti, 2023
pp. 288 – 18,00 euro

 

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