Numeri implacabili, racconti terribili, abbondanti testimonianze personali emergono da documenti e analisi, corredati un ricco apparato di note a supporto della “bibliografia scelta” finale. E poi cartine geografiche con il reticolo dei principali centri e momenti dell’Olocausto; un fitto indice di nomi e di luoghi che – da solo – forse dice tutto. Tutto questo è, in sintesi, la «storia incompiuta» dell’Olocausto (come significativamente recita il sottotitolo), da poco pubblicata da Dan Stone, docente di Storia moderna alla Royal Holloway University di Londra e autore di diversi saggi sull’Olocausto e sulla storia europea del Novecento.
Una storia che in primo luogo scardina l’idea generale che comunemente abbiamo dell’Olocausto: «Sulla base delle ricerche recenti – osserva l’autore –, l’Olocausto, piuttosto che una storia di occupazione, deportazione e sterminio nei campi perpetrati dai tedeschi, sembra più una serie di genocidi locali interconnessi, compiuti sotto l’egida di un ampio progetto».
Un racconto che mette in luce soprattutto la complessità e la natura «fluida» di una realtà – di scala transnazionale – assai complicata e mutevole, nella quale non vi furono affatto ruoli fissi da parte degli Stati alleati (o meno) della Germania.
L’impianto è cronologico: una dettagliata descrizione dell’ideologia nazista e degli attacchi agli ebrei da parte dei nazisti tra il 1933 e il 1938 – dunque nei sei anni che precedettero la guerra – prepara il lettore a comprendere come gradualmente si arrivò alla «Soluzione finale» e, di qui, a ciò che avvenne dopo.
Su questo, fa riflettere in particolare la successione di leggi e atti ufficiali – noti e meno noti – che comportarono, per gli ebrei tedeschi, la completa disintegrazione del loro mondo: «Bisogna considerare l’effetto che ebbero su coloro che ne furono colpiti per coglierne il vero significato: il senso di esclusione dalla propria comunità, la rottura graduale e, allo stesso tempo rapida, con tutto ciò che si riteneva normale, come se tutto ciò che era solido stesse evaporando».
Nel corso del libro, l’autore smonta una serie di concetti spesso dati per assodati nella narrativa sull’Olocausto. Stone spiega, ad esempio, perché non fu un progetto unicamente tedesco, ma un crimine che coinvolse molti europei in tutto il continente («Perché tante persone in tutta Europa abbiano scelto di partecipare alla persecuzione degli ebrei rimane forse una domanda a cui è impossibile dare una risposta. Ma spiccano diversi fattori chiave: venalità, opportunismo, conformismo, obbedienza, odio»).
Largo spazio è attribuito alla reazione dei vari Stati in risposta ai dettami nazisti. Si confronta quanto accaduto nella Francia di Vichy, in Olanda, Norvegia, Svezia, Ungheria, Italia, Croazia, Grecia, Transnistria e altre regioni europee, e se ne trae un’amara conclusione: «è chiaro che senza il sostegno di milioni di non tedeschi (o austriaci) in tutta Europa, il decorso dell’Olocausto sarebbe stato più lento e la sua portata meno completa. (…) Nazioni come la Croazia e la Slovacchia colsero l’occasione offerta dalla guerra e dalle politiche genocide dei nazisti per realizzare antichi sogni di eliminazione delle minoranze, in particolare di ebrei e rom. Altri, come la Bulgaria e la Francia, deportarono alcuni ebrei ma non altri, esitando alla prospettiva di sterminare gli ebrei con la loro cittadinanza (…). L’Ungheria, invece, mostra che gli alleati della Germania potevano resistere alla pressione di deportare gli ebrei, perché qui l’Olocausto fu attuato solo dopo l’occupazione del Paese, nel 1944».
Il testo di Stone sgretola anche l’idea di uno sterminio industrializzato ed “efficiente”. Spiega infatti che in realtà, fino a una fase avanzata della guerra, lo sterminio del popolo ebraico non si svolse nei campi di concentramento delle SS, ma attraverso massacri perpetrati con armi da fuoco e tramite altre modalità, tra cui la morte per fame nei ghetti.
A proposito di Auschwitz, tra le altre cose, leggiamo che non fu «una fabbrica di morte nel senso di un luogo di genocidio pulito ed efficiente (…), ma un mattatoio di fantasia genocida concentrata», in cui convivevano avidità, violenza sessuale, paranoia razziale e «ciò che Primo Levi ha chiamato “violenza inutile”».
Anche rispetto ai ghetti, spesso associati nell’immaginario comune a luoghi di resistenza e conservazione della cultura e dello spirito ebraico, si sottolinea il dato che non di rado furono piuttosto luoghi di estrema umiliazione, nei quali gli individui si perdevano, schiacciati.
L’ultimo capitolo è dedicato alla memoria dell’Olocausto. Grazie a varie argomentazioni ed esempi, mette in guardia il lettore dalle distorsioni e dagli “abbellimenti” di tale memoria nell’era della cosiddetta «post-verità»: «l’Olocausto non solo rivela la fragilità del moderno Stato nazionale e dei “pilastri” che lo sostengono (Stato di diritto, forze armate, religione, élite al potere), ma mette in discussione la loro stessa organizzazione e funzionamento. L’Olocausto mostra che lo Stato, sebbene possa fornire assistenza sanitaria universale e garantire i diritti dei cittadini, non lo fa necessariamente. (…) Pertanto, nonostante la didattica dell’Olocausto sia ormai radicata (…), in tempi di crisi percepita il fascismo offre uno stile, un vocabolario e una serie di risposte semplici a cui alcuni sembrano rivolgersi d’istinto».
Concludendo, il libro è un “pugno nello stomaco”: traccia un quadro storico e bilanci estremamente duri e difficili da accettare, ma probabilmente necessari.
Dan Stone
L’Olocausto
Una storia incompiuta
Einaudi, 2023
pp. 328 – 26,00 euro