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Israele, meno donne in parlamento, ma più lavoratrici tra le ultraortodosse

Manuela Borraccino
25 maggio 2023
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Nel recente documento pubblicato dal Forum dei docenti di diritto israeliani per la democrazia il rammarico per l'inadeguata rappresentanza femminile in parlamento e nel governo. Evidenziati i cambiamenti in atto tra le haredi, sempre più presenti nel mercato del lavoro, e l'insufficiente contrasto alla violenza domestica nella minoranza araba.


L’attuale legislatura del parlamento israeliano «segna un arretramento storico nella rappresentanza delle donne»: la coalizione ha una maggioranza schiacciante di uomini, con appena 9 donne su 64 membri (il 14 per cento) e nella Knesset le donne sono soltanto 29 su 120 parlamentari (il 24 per cento), con appena 6 donne su 30 ministri dopo il record di nove ministre nel precedente governo. Tra le poche donne che sono state incluse nelle liste elettorali, in posizioni «marginali e irrealistiche» – lamentano i giuristi del Forum dei professori di diritto israeliani per la democrazia – «alcune sono state elette proprio per la loro opposizione ai diritti delle donne e all’eguaglianza, perfino per il loro successo nel boicottare disegni di legge che miravano a proteggere le vittime di violenze sessuali e offrire delle risposte alla violenza domestica». Lo ha confermato l’espulsione dall’aula della Knesset della neo-ministra per la Promozione della condizione femminile May Golan (del Likud), nota per le posizioni di estrema destra contro i migranti e i diritti delle donne, oltre che fiera di considerarsi razzista. La sera del primo maggio, pochi minuti dopo aver giurato per il suo nuovo incarico, la ministra ha aggredito verbalmente una parlamentare dell’opposizione che la stava criticando, fino a quando è stata portata fuori dall’aula: una scena «incredibilmente imbarazzante persino per gli standard della caotica vita politica israeliana» si legge su Haaretz.

>>> Leggi anche: Giuristi: «Dal progetto di riforma, rischi per le donne in Israele»

«La mancanza di una rappresentanza adeguata nel governo e nella Knesset infligge un duro colpo allo status delle donne in Israele e ci si può aspettare che influenzi profondamente le loro vite per il peggio. In più – attaccano i giuristi – c’è un tentativo di neutralizzare il potere del sistema giudiziario con modalità che ridurrebbero la capacità delle organizzazioni delle donne di lottare per i loro diritti e ottenere sollievo nei tribunali», in violazione sia della Convenzione Onu del 1979 per l’eliminazione di qualsiasi discriminazione contro le donne (Cedaw) sia della Risoluzione Onu 1325 del 2000 sull’inclusione delle donne nei processi di pace.

Le haredi si fanno spazio nelle professioni

La preoccupazione maggiore dei giuristi israeliani è per le donne haredi e per le israeliane arabe. Oggi, scrivono, le ultraortodosse occupano posizioni di vertice nelle professioni giuridiche, economiche, nel mondo della comunicazione. Restano però due soffitti di cristallo: quello dell’ethos centrale identitario per gli haredi dello studio della Torah e quello che impedisce loro di accedere ai partiti e alla politica, alle istituzioni e centri decisionali dove si forgia il volto della società ultraortodossa. «Forse proprio come reazione alla “primavera” delle donne haredi – riflettono i giuristi – soffiano venti di restaurazione e di esclusione nella società ultraortodossa come espressione di estremismo religioso e di regolamentazione senza precedenti del pudore, una tendenza che soffoca la speranza e lo spirito di iniziativa. In questo cambio di regime – rimarcano – le ultraortodosse saranno maggiormente colpite perché soffrono di una doppia emarginazione: in quanto donne e in quanto membri di una società patriarcale, gerarchica e autoritaria che non riconosce i principi di eguaglianza e i diritti delle donne».

Nel 2021 la popolazione degli ultraortodossi ha raggiunto quota 1.225.000: tra adulte e bambine, la stima del numero delle donne è di circa 600mila. L’integrazione delle donne haredi nel mercato del lavoro israeliano è cresciuta rapidamente, anche allo scopo di realizzare il principio di una «società di studiosi» nella quale gli uomini dedicano la loro vita allo studio della Torah. Sempre maggiore è la presenza di donne haredi nei settori dei media, dell’hi-tech e dell’informatica. Nel decennio fra il 2002 e il 2011 il tasso di occupazione fra le haredi era del 50 per cento: nel 2013 era cresciuto al 68 per cento. La percentuale delle occupate religiose è comunque più bassa rispetto a quella delle laiche: nel 2014 le occupate haredi erano il 71 per cento contro il 79,5 per cento delle ebree non haredi. Tuttavia il divario si è ulteriormente ridotto negli ultimi anni: peraltro le ultraortodosse non sono più soltanto insegnanti, ma sono ormai presenti in tutte le facoltà universitarie e presenti in molte professioni terapeutiche, nei servizi sociali, uffici di risorse umane, psicologia clinica, grafica e design, contabilità, raccolta fondi e campagne di sensibilizzazione.

Non solo angeli del focolare

L’ingresso delle haredi nel mondo del lavoro non poteva non provocare uno sconvolgimento anche nel rapporto fra i coniugi: ora le donne non sono più solo l’angelo del focolare, ma coloro che provvedono al sostentamento della famiglia e permettono al marito di studiare. Non c’è da sorprendersi, rimarcano i giuristi, se l’estremismo e l’esclusione che hanno preso piede negli ultimi anni siano una reazione al potere e alle posizioni di influenza che le donne hanno conquistato negli ultimi decenni. «Le donne – osservano i giuristi israeliani nel recente documento al quale abbiamo fatto riferimento nel post precedente – adesso vengono viste come le responsabili dei processi di “secolarizzazione” in atto nella comunità degli ultraortodossi: il loro ingresso nel mondo del lavoro è andato inevitabilmente di pari passo con l’ingresso della mondanità nell’enclave religiosa. La conseguenza è questa aggressiva irreggimentazione delle donne e una radicalizzazione religiosa senza precedenti».

Ecco perché i partiti ultraortodossi e gli uomini che li controllano non rappresentano le donne, la metà della popolazione haredi, né rappresentano quella parte della popolazione chiamata “nuovi haredi” o “israeliani haredi”. Una lotta asperrima è in corso da anni sull’allargamento del sistema scolastico ufficiale ultraortodosso che dovrebbe includere molte più materie cruciali per molti più bambini ultraortodossi di quanto non sia avvenuto finora. E questo per l’impatto drammatico che avrà questo sistema scolastico per l’economia israeliana e la sua resilienza futura, vista la percentuale significativa dei diplomati ultraortodossi sul totale della popolazione israeliana e le proiezioni demografiche secondo le quali nei prossimi decenni gli haredi saranno un terzo della popolazione israeliana. «Il basso livello d’istruzione degli haredi, la loro dissociazione dal resto della società israeliana, e il fatto che ad un’ampia parte dei ragazzi non vengono impartite materie fondamentali di base, sono tutti temi che suscitano una forte preoccupazione dato che pongono una minaccia al progresso del Paese e dei suoi cittadini, compresi quelli che appartengono alla comunità degli ultraortodossi».

Violenza domestica tra gli arabi, poco incisiva l’azione di contrasto

Il documento del Forum dei professori di diritto israeliani per la democrazia si chiude con un capitolo dedicato alle arabe israeliane, altra categoria fortemente discriminata fin dal 1948. Anche per loro vale l’analisi intersezionale, ovvero sull’interdipendenza dei diversi tipi di dominio dei quali sono vittime: in quanto donne, in quanto membri di una società patriarcale e in quanto individui appartenenti a una minoranza nazionale svantaggiata. Non è un mistero che il governo voglia restringere le attività delle organizzazioni per i diritti umani nelle comunità arabe e in particolare quelle delle associazioni delle donne arabe. «Alla segregazione delle donne in atto da anni su pressioni degli ebrei ultraortodossi, si aggiunge ora la segregazione etno-religiosa fra arabi ed ebrei che violerà ancora di più i diritti delle donne».

Oltre all’ulteriore irrigidimento sulle complicate procedure per i ricongiungimenti familiari dei palestinesi coniugi di cittadini israeliani, preoccupa il fatto che la violenza domestica, i femminicidi e i cosiddetti “delitti d’onore” fra gli arabi israeliani non siano perseguiti e puniti con il vigore riservato alle ebree israeliane. «Mentre vengono processati il 94,3 per cento dei casi fra gli ebrei israeliani – si legge – soltanto il 56 per cento dei casi finisce in tribunale quando le vittime sono arabe israeliane: e mentre fra gli ebrei il tasso delle condanne è del 75 per cento, fra gli arabi è di appena il 34 per cento; la durata media delle pene detentive per i femminicidi è fra i 14 e i 18 anni per gli ebrei, mentre la media è di appena 5,5 anni per gli arabi». Se dovessero essere estese le competenze dei tribunali rabbinici in materia di matrimonio e divorzio, è altamente probabile che aumenterà l’applicazione della sharia anche fra gli arabi, con grave danno per le donne.

In conclusione: «la totalità delle azioni, degli impegni e delle modifiche legislative avviate dal governo e dalla coalizione con la riforma giudiziaria – chiosano i giuristi – infliggerà un colpo mortale ai diritti di tutte le donne in Israele e segnerà una regressione della loro condizione con le forme più gravi dai tempi della fondazione dello Stato».

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