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Giuristi: «Dal progetto di riforma, rischi per le donne in Israele»

Manuela Borraccino
15 maggio 2023
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Dalla proposta governativa di riforma giudiziaria gravi rischi di discriminazione delle donne, soprattutto se ebree ultraortososse o arabe. L’ora è drammatica, denuncia il Forum dei docenti di diritto israeliani per la democrazia.


Crescente segregazione delle donne; discriminazioni nell’esercito; rischi di aumento della violenza domestica; gravi danni alla comunità delle ebree haredi e delle arabe israeliane, due componenti sociali che per motivi diversi – sin dal 1948 – sono tra le fasce più fragili dei 4,5 milioni di donne oggi residenti nello Stato ebraico (il 51 per cento della popolazione). L’eventuale approvazione della riforma giudiziaria momentaneamente accantonata dal premier Benjamin Netanyahu infliggerebbe «un colpo mortale ai diritti di tutte le donne in Israele» secondo la dura presa di posizione della principale associazione dei giuristi israeliani, il Forum dei professori di diritto israeliani per la democrazia (Israeli Law Professors’ Forum for Democracy).

Insieme al Centro Rackman dell’università di Bar-Ilan presieduto da Ruth Halperin-Kaddari, i membri dell’associazione indipendente e apartitica – esperti soprattutto di diritto pubblico – hanno firmato con decine di altri giuristi un documento di 29 pagine nel quale esprimono la loro «seria preoccupazione» per i rischi di gravi violazioni dei diritti delle donne a causa della “religiosizzazione” della vita pubblica in atto da anni nella società israeliana.

«La segregazione delle donne è in atto da anni»

La riforma giudiziaria ammette la segregazione delle donne in posti di lavoro, negozi, università dove gli uomini, in particolare gli ultraortodossi, potrebbero rifiutarsi di ricevere servizi da parte di donne. Una segregazione già in atto da anni sui trasporti pubblici di località e quartieri abitati prevalentemente da ortodossi senza che il pubblico israeliano e la Corte suprema si siano opposti con sufficiente rigore. «A Gerusalemme almeno dieci biblioteche – scrivono gli estensori del documento – sono aperte solo in orari separati per uomini e donne; in alcune università che offrono corsi per studenti haredi le impiegate non forniscono loro servizi, ma sono sostituite da colleghi maschi. Da quando negli anni scorsi gli haredi sono stati inseriti nell’esercito le soldatesse vengono tenute totalmente a distanza».

Le soccorritrici volontarie dell’organizzazione Magen David Adom (Mda), l’equivalente israeliana della Croce Rossa, «vengono fisicamente aggredite da feriti infastiditi dal fatto che siano donne». Già avviene che le donne «non siano caricate sull’ambulanza se i loro abiti sono succinti». E l’anno scorso in un evento organizzato dalla Mda al Centro culturale di Tel Aviv in onore dei volontari ortodossi «le donne sono entrate da un ingresso laterale nel parcheggio mentre gli uomini entravano dal portone principale».

«A rischio i diritti delle donne nelle cause di divorzio»

Il tentativo di espandere le competenze dei tribunali rabbinici – che dal 1953 hanno competenze in materia di matrimonio e divorzio, inclusi la custodia dei figli e le responsabilità genitoriali – «prelude alla nascita di due sistemi legali paralleli all’interno dello stesso Stato, basati su un diverso corpus di leggi e diverse concezioni della giustizia» e pone un’ipoteca gravissima sui diritti delle donne. In alcuni ambiti infatti i loro diritti fondamentali «fin dal 1948 sono stati sacrificati sull’altare di alcune considerazioni politiche per placare le autorità religiose». Se fino ad oggi le corti rabbiniche non avevano competenze sui beni, «secondo la proposta di legge sarà ora “consentito” avanzare cause sulla divisione delle proprietà davanti ai tribunali religiosi», preclusi ai giudici di sesso femminile.

Il problema è che il “consenso” di una donna ad affrontare una causa in un tribunale rabbinico viene quasi sempre posto come condizione dal marito per concedere il get, il documento del divorzio, o per un accordo sull’affido dei figli. «È sicuro che espandere la giurisdizione dei tribunali rabbinici aggiungerà potenti munizioni agli arsenali dei mariti, che saranno sostenuti dai rabbini per i quali la richiesta di dirimere la disputa secondo le leggi religiose è legittima e sarà una condizione accettata dalla donna per avere il get. Questo – rimarcano – rappresenta un varco verso gravi violazioni dei diritti delle donne nei casi di separazione, forse il più serio che il sistema legale israeliano affronti da anni» visto che la legge ebraica così come viene oggi applicata dalle corti rabbiniche «è discriminatoria e problematica per le donne e anche per altre categorie».

«Grave che il governo non firmi la Convenzione di Istanbul»

È ancora più grave del resto, rimarcano gli studiosi di diritto, che «Israele non sia attrezzato per combattere efficacemente la violenza sulle donne», drasticamente aumentata, come nel resto del mondo, negli anni del Covid. Nel solo 2022 sono state 24 le donne assassinate in Israele in episodi di cronaca nera (con un aumento del 50 per cento rispetto alle 16 del 2021): la metà erano arabe israeliane, che pure rappresentano appena un quinto della popolazione. Mancano una legge sul reato di violenza domestica e relative sanzioni, la formazione specifica per assistenti sociali, le azioni e le strutture per proteggere in luoghi sicuri le donne vittime di violenza entro le mura domestiche. Nel 2022 Israele era stato invitato dal Consiglio d’Europa a firmare la Convenzione di Istanbul (il trattato internazionale promosso nel 2011 sulla prevenzione e sul contrasto alla violenza domestica e per il recupero delle donne vittime di violenza), ma lo scioglimento anticipato della Knesset ha impedito la ratifica.

«Le principali critiche rispetto alla Convenzione vertevano su due commi di un articolo (su dieci) riguardanti migranti e richiedenti asilo, col pretesto che la ratifica avrebbe provocato un’invasione di milioni di donne vittime di violenza, mentre era chiaro che non avrebbe potuto cambiare assolutamente nulla nelle politiche migratorie di Israele. Ciò ha dirottato il dibattito pubblico dalla vera questione di come sradicare gli abusi domestici e proteggere le donne vittime di violenza. Non c’è alcun dubbio – attaccano i giuristi – che il motivo sottinteso che ha impedito la ratifica è stata l’opposizione a qualsiasi iniziativa che avrebbe fatto avanzare l’eguaglianza di genere e minato la struttura della famiglia patriarcale, sulla base dell’assunto ridicolo che interferire nella violenza domestica è una violazione dell’autonomia familiare, come venne argomentato in un dibattito parlamentare che affossò la Legge di prevenzione della violenza domestica nel 1991».

«Oggi – scrivono i giuristi israeliani – coloro che votarono contro quella proposta di legge non esitano a definire gli articoli della Convenzione di Istanbul che riguardano l’educazione all’eguaglianza di genere e i diritti delle donne come i più pericolosi per “la sovranità di Israele come Stato ebraico”, tracciando così un apparente filo diretto fra ebraismo e violenza contro le donne. Coloro che hanno fatto abortire l’adesione di Israele alla Convenzione di Istanbul sono gli stessi attualmente al potere. Non sorprende che l’accordo di coalizione fra il Likud e il Partito sionista religioso comprenda un impegno a non firmare la Convezione».

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