(g.s.) – Ricorre in questi giorni di maggio il settantancinquesimo anniversario di un successo e di una disfatta: l’indipendenza dello Stato di Israele e la speculare “catastrofe” (Nakba) del popolo palestinese che nel 1948 – e sino ad oggi con generazioni e generazioni di profughi – ha fatto le spese dell’affermazione ebraica in Terra Santa.
La popolazione cristiana autoctona è quasi esclusivamente araba/palestinese ed è interpretandone la sensibilità che i patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme si soffermano, in una dichiarazione del 14 maggio scorso, sull’anniversario della Nakba, ribadendo la necessità di «adoperarsi per una pace giusta e duratura per la nostra terra».
«Preghiamo – scrivono in un passaggio della dichiarazione i leader religiosi cristiani – per tutti i membri delle nostre Chiese e per il resto della popolazione della nostra terra e invitiamo tutti a lavorare insieme per costruire un futuro migliore e più umano per tutti. Ricordiamo a tutti che la pace può essere raggiunta solo quando c’è equità e rispetto per i diritti umani e il diritto internazionale».
Il breve testo non menziona mai Israele, gli ebrei o l’ebraismo.
«Crediamo – si legge nel penultimo capoverso – che la giustizia e la pace siano le chiavi della stabilità e della prosperità nella regione e dichiariamo la nostra disponibilità a lavorare con tutte le parti interessate per raggiungere questi nobili obiettivi. Chiediamo alla comunità internazionale di svolgere un ruolo maggiore nel sostenere la protezione delle nostre comunità e nel preservare i luoghi santi e le attuali regole dello “Status Quo” sotto la Custodia Hashemita [la Casa Reale giordana – ndr], nonché di impegnarsi per raggiungere una pace permanente e giusta nella regione, basata sulla legittimità internazionale e sulle risoluzioni delle Nazioni Unite».
La conclusione è un auspicio, ormai tante volte reiterato: «La nostra amata Terra Santa è “la casa delle tre fedi”. Preghiamo Dio affinché ci conceda la saggezza necessaria per lavorare verso un futuro migliore e per garantire al popolo palestinese il diritto all’autodeterminazione, alla costruzione di uno Stato e alla prosperità, consentendo a tutti i popoli di questa Terra di vivere in pace, dignità e prosperità».
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Solidarietà ecumenica
(g.s.) – Da Ginevra, il 16 maggio, ha fatto eco alla dichiarazione dei capi delle Chiese di Terra Santa il reverendo Jerry Pillay, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), organismo nato proprio 75 anni fa e sempre attento alla questione della pace, della giustizia e dei diritti umani in Terra Santa.
Il Consiglio ecumenico delle Chiese – assicura Pillay – «esprime solidarietà alle sue Chiese membri in Terra Santa e continuerà ad accompagnarle nel loro lavoro per la giustizia, la riconciliazione e una pace giusta».
«La nakba, la catastrofe che le famiglie palestinesi hanno vissuto 75 anni fa, continua a causare l’espropriazione e la sofferenza irrisolta di molti palestinesi, in particolare della popolazione di Gaza», sottolinea il segretario generale del Cec (o Wcc, se si ricorre all’acronimo inglese).
Pillay si sofferma brevemente su Gerusalemme ricordando che l’organismo ginevrino «ha costantemente affermato l’idea che lo status della città di Gerusalemme – che ha un profondo significato ed è amata da tre fedi e due popoli – deve essere risolto attraverso negoziati pacifici. Gerusalemme è una Città Santa condivisa dalle tre religioni: ebraismo, cristianesimo e islam».
Suona consueto l’appello espresso in chiusura dal reverendo Pillay: «Esortiamo la comunità internazionale ad accelerare gli sforzi verso una soluzione giusta e praticabile che rispetti le aspirazioni di tutti i popoli che vivono in Terra Santa, in linea con le convenzioni e le risoluzioni internazionali».