Nell’Antico Testamento ci imbattiamo di frequente nel verbo «benedire». Con il termine barak nella Bibbia viene descritta la benedizione divina che, in una civiltà nomade e dedita alla pastorizia come quella dei Patriarchi, significava fecondità della famiglia, del gregge e abbondanza del prodotto della terra. Anche se già sottintesa e presente nelle parole della creazione, nel libro della Genesi con la frase «E Dio vide che era cosa buona», è esplicitata in maniera chiara nelle parole rivolte ad Abramo in occasione della sua chiamata a Ur dei Caldei: «Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e maledirò coloro che ti malediranno e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
La barak viene poi pronunciata dal figlio Isacco che la rivolge a Giacobbe dicendogli: «Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto» (Gn 27,28). Questo tipo di benedizione non è un semplice augurio di bene, ma essendo proclamata da Dio e impartita durante la Storia della salvezza nel Suo nome, incide sull’identità, la missione e vocazione del destinatario che può essere un uomo o, come nel caso di Israele, un «popolo eletto», ovvero l’insieme delle dodici tribù che sono chiamate a essere benedizione per il mondo.
Anche nel lieto annunzio che troviamo nei Vangeli più volte Gesù bene-dice. Se leggiamo il finale del Vangelo di Luca ci viene narrata l’Ascensione di Gesù al cielo che a differenza del racconto contenuto nel libro degli Atti degli Apostoli e della tradizione, è collocato appena fuori dal villaggio di Betania. Gesù alza le mani e benedice i suoi discepoli mentre si stacca da terra e sale verso il cielo provocando nei discepoli venerazione e gioia. Questo è il suo ultimo gesto, quello finale, in qualche modo definitivo che conclude la sua «vicenda terrena». Nel momento dell’addio, Gesù allarga le braccia sui suoi e li meraviglia ancora, ma questa volta con una benedizione che non conosce fine e fa sì che il ritorno a Gerusalemme sia pieno di gioia. È la gioia che nasce in quel discepolo che comprende che tutto ha senso, anche i passaggi della vita più duri come il distacco fisico da una persona cara.
San Francesco d’Assisi, ispirato da Dio, fa sua la bella benedizione che troviamo nel libro dei Numeri: «Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). È il suo modo per esprimere tutto l’affetto che prova per Leone, suo amico fedele e compagno di strada. Il Santo di Assisi trova adatte queste parole perché conserva nel suo cuore e nelle sue stimmate l’amore che deriva da un Dio che è Padre. Il benedire di Dio è ben coniugabile ai verbi del custodire, mostrare il volto, avere misericordia e dare pace. Tutte azioni di un padre che incoraggia i propri figli e al contempo li protegge, perché presente con uno sguardo amorevole che segue il loro cammino. Sull’esperienza di tutto questo, Francesco ha trovato la spinta che gli ha fatto vivere il Vangelo in modo radicale e lo ha portato ad abbandonarsi totalmente alla Provvidenza. Egli è consapevole che il Padre gli ha già dato tutto e per questo tutto per lui diventa fonte di benedizione e di benevolenza. La via della benedizione è di fatto l’inizio del processo che lo porta a scrivere il Cantico delle Creature.
Per far capire il senso profondo della benedizione, papa Francesco più volte, nelle sue omelie e catechesi, ha definito Dio come «un buon padre e una buona madre» che «non smettono mai di amare il loro figlio, per quanto possa sbagliare». Nel pensiero del Pontefice, quando si parla di benedizioni, non si può prescindere dalla consapevolezza dell’amore che Dio ha per ciascuno di noi. Fossimo anche appartenenti alla categoria umana degli «irrecuperabili». Proprio per questo possiamo affermare e fare esperienza di un Dio che non aspetta la nostra conversione per amarci, ma lo fa da sempre. Se vogliamo quindi essere simili a Lui è necessario guardare a noi e al mondo che ci circonda con uno sguardo di benedizione e non di maledizione.
Eco di Terrasanta 3/2023
Gerusalemme, i tesori del nuovo Museo armeno
Nel seminario ottocentesco che ospitò i bambini armeni rimasti orfani durante il genocidio di inizio Novecento è ospitata una ricca raccolta museale. Specchio della storia e della cultura di un popolo che per primo aderì al cristianesimo.