Sembra entrato in un cono d’ombra l'Iran. Le turbolenze dei mesi scorsi sono finite? No. Proseguono, pur facendo meno notizia, manifestazioni e scioperi legati alla crisi economica. L'obbligo del velo grava ancora sulla testa delle donne. Facciamo il punto.
Mesi di manifestazioni contro il velo e contro il regime teocratico, una repressione violenta con centinaia di morti e migliaia di arrestati di cui quattro impiccati, uno scossone che ha allargato le crepe ormai evidenti del sistema islamico, una «rivoluzione», come è stata chiamata, forse un po’ troppo frettolosamente in Occidente. Poi l’Iran è entrato in un cono d’ombra, un periodo di apparente bonaccia. Tutto finito? Assolutamente no. Intanto proseguono, anche se fanno meno notizia, scioperi e manifestazioni legati alla crisi economica, e la questione femminile, che si esprime nel rifiuto dell’obbligo del velo, pesa come una spada di Damocle sulla sopravvivenza del sistema.
Cerchiamo di fare sinteticamente il punto.
Le manifestazioni contro l’hijab e il regime degli ayatollah hanno lasciato il posto a una diffusa disobbedienza civile: nei mesi scorsi, mentre i cortei e sit-in scemavano, cresceva il numero di donne che sfidavano il regime in solitaria, semplicemente camminando, frequentando negozi e locali pubblici, a testa scoperta. Donne di tutte le età, concentrate però nei quartieri-bene della Teheran nord, nei posti alla moda della costa del Mar Caspio o nelle isole del Golfo Persico. Per averne una idea basta guardare i popolari video postati ogni due-tre giorni su YouTube da una coppia di giovani iraniani, Reza e Mahsa (basta cercare i loro nomi), in giro per il loro Paese. Risale a fine aprile il video in cui la stessa Mahsa si mostra senza velo, mentre è in viaggio su un aereo iraniano da Teheran all’isola di Qesh, dove l’hijab sembra piuttosto impopolare. Le cose mutano in fretta, però, e già al ritorno a Teheran e nelle puntate sulle cittadine del Mar Caspio, girate in questi ultimi giorni, le donne senza il velo diminuiscono. Molte lo portano sulla nuca, facendo salire o calare il bordo di stoffa a seconda della situazione.
Mentre all’inizio il governo iraniano ha chiuso uno o entrambi gli occhi sulla nuova modalità di antagonismo femminile, ora sta cercando di reimporre gradualmente il vecchio ordine dell’hijab obbligatorio, in modo deciso ma evitando scontri diretti con le donne, per l’evidente timore di riaccendere proteste massicce. Grandi schermi lampeggianti sono apparsi lungo le arterie stradali di Teheran per ricordare alle donne di indossare il velo in onore delle loro madri. Poliziotti e volontari lo ripetono a gran voce nelle stazioni della metropolitana e negli aeroporti. Poi, sono cominciati ad arrivare sms di ammonimento ai tassisti che portano passeggere senza velo nelle loro vetture. Quindi è stata la volta dei negozi, dei ristoranti, dei cinema frequentati da donne a testa scoperta.
Nelle ultime settimane, la polizia ha imposto la chiusura temporanea di circa duemila attività commerciali in tutto il Paese, colpevoli di aver consentito l’ingresso a donne senza velo, in trasgressione alla legge islamica. «Questa è una partita dove i commercianti perdono in tutti i casi», ha detto ai media Mohsen Jalalpour, ex vicepresidente della Camera del commercio iraniana. «Se non fanno entrare le donne a capo scoperto, i clienti li boicotteranno. Se rifiutano di obbedire agli ordini della polizia, rischiano la chiusura». Lo scorso 25 aprile, i poliziotti hanno addirittura sbarrato per alcuni giorni l’ingresso dell’Opal, un lussuoso centro commerciale di 23 piani nei quartieri settentrionali di Teheran, perché alcune ragazze senza velo avevano giocato con amici in una sala bowling dell’enorme complesso. Centinaia di lavoratori sono rimasti a casa.
Nonostante molte resistenze interne, il governo sta discutendo modifiche all’attuale legge sull’obbligo dell’hijab, la cosidetta pena islamica, entrata in vigore nel 1983, che punisce con frustate (fino a 74) e vari periodi di detenzione chi trasgredisce. Tecnicamente, non portare il velo è considerato un crimine. Le forze dell’ordine hanno l’obbligo di inviare una denuncia alla magistratura con la conseguente apertura di un processo penale. Al di là della spietatezza della legge, ciò provoca un ingorgo ingestibile nel sistema giudiziario. Fonti della magistratura, riportate dal sito semi-ufficiale iraniano Fararu, hanno riferito che, dagli ultimi dati risalenti al 2019, in un solo anno erano stati aperti 9 milioni di procedimenti penali per violazione delle norme sull’hijab. Il governo del presidente ultraconservatore, l’ayatollah Ebrahim Raisi, un mese fa aveva presentato un disegno di legge che avrebbe voluto sostituire il passaggio processuale con un iter semplificato, prevedendo provvedimenti amministrativi duri, come il blocco del conto bancario e la sospensione della carta d’identità. Di fronte a un coro di contestazioni e critiche, anche da parte del mondo bancario, l’esecutivo ha fatto marcia indietro ed ora – a quanto afferma il vicepresidente del Parlamento iraniano, Seyed Mohammad Hosseini – si sta lavorando a un nuovo disegno di legge. Alcune indiscrezioni dicono che sarà molto più conciliante del precedente. Su richiesta della magistratura, si starebbe pensando – secondo quanto riferisce Fararu – di derubricare l’attuale reato penale considerandolo una semplice violazione della legge, punibile con una multa e senza denuncia penale, processi, prigione e frustate. Quale sarà soluzione sarà adottata è tuttora incerto, data la rapidità con cui all’interno del regime cambiano idee e proposte di soluzione.
Una cosa è però ben chiara per gli iraniani: la situazione non è più gestibile con la normativa attuale.