L’immagine è unica. I rappresentanti delle tre comunità ecclesiali custodi del Santo Sepolcro si sono riuniti sul tetto del Patriarcato greco-ortodosso, all’ombra della cupola dell’Anastasis, per opporsi frontalmente alla decisione israeliana di limitare il numero dei partecipanti alla cerimonia del Fuoco Santo, in programma nel primo pomeriggio di sabato 15 aprile.
I greco-ortodossi, insieme ai francescani per la Chiesa cattolica e agli armeni apostolici, condividono la sensazione che i diritti della comunità cristiana siano minati da tutte le parti, anche durante la celebrazione della più importante festa dell’ortodossia. Il rito del Fuoco Santo dà il via al ciclo di celebrazioni della resurrezione di Gesù. Ogni anno, migliaia di fedeli arrivano da tutto il mondo per parteciparvi, e l’intera comunità cristiana della Terra Santa si rallegrano per questa festa. La diversità dei calendari adottati dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente – rispettivamente il giuliano e il gregoriano – consente a tutti di prolungare il clima di gioia pasquale.
La decisione della polizia è stata resa nota da poco: saranno duemila le persone autorizzate ad entrare nella basilica della Risurrezione (o del Santo Sepolcro) per lo «Shabbat della Luce», compresi 200 agenti di polizia. La quota, secondo la polizia, è stata calcolata «da un consulente esterno», «in base all’area, alla densità, alle uscite di emergenza e all’occupazione massima» del luogo di culto, e tenendo conto della natura dell’evento stesso.
Va ricordato che – secondo la tradizione – durante la cerimonia si verifica un miracolo. Il fuoco si sprigiona spontaneamente nella tomba vuota di Gesù. Il Patriarca greco-ortodosso attinge con un cero da questa fiamma e poi trasmette il fuoco divino al clero e alle migliaia di pellegrini presenti con ceri e fasci di candele. Le immagini sono suggestive, tutti sono ansiosi di ricevere la Santa Luce. Via via che le candele si illuminano sembra che l’intera basilica si accenda. Gli scettici sono propensi a pensare che in questo caos «divino» il vero miracolo stia nel fatto che non accadono incidenti (lo scrittore Simon Sebag Montefiore nel suo libro Gerusalemme, biografia di una città, riferisce, però, che nel 1834 decine di persone perirono travolte dalla calca).
A proposito di incidenti, dopo quello avvenuto sul Monte Meron, in Galilea, nel quale morirono calpestati 45 pellegrini ebrei nell’aprile 2021, la polizia israeliana ha aumentato le misure di sicurezza in occasione di raduni. L’anno scorso, il numero di partecipanti alla celebrazione del Fuoco Santo era inizialmente di mille, aumentato a quattromila da una sentenza della Corte Suprema, e forzatamente limitato da una sistematica intelaiatura di barriere in tutto il quartiere cristiano e da interventi pesanti della polizia a ogni sbarramento presidiato.
Alla fine, meno di mille persone poterono prendere posto intorno alla Tomba di Gesù; altre duemila circa si ammassarono nel catholicon (l’ampio coro greco) e in altre aree della basilica.
Quest’anno le riunioni di coordinamento tra le Chiese e la polizia hanno nuovamente creato frustrazione tra i cristiani. Nella presa di posizione pubblica del 12 aprile, padre Matheos Siopis, responsabile dello Status Quo per il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, ha letto la dichiarazione comune con un’aria ferma e costernata: «Dopo molti tentativi mossi da buona volontà, non siamo in grado di coordinarci con le autorità israeliane, che stanno applicando restrizioni irragionevoli e senza precedenti all’accesso al Santo Sepolcro, ancor più dell’anno scorso».
Ha poi aggiunto: «La polizia sta ingiustamente e inopportunamente imponendo alle Chiese l’onere di emettere inviti, legando loro le mani con restrizioni irragionevoli che impediranno ai fedeli di partecipare alla cerimonia, in particolare ai membri della nostra comunità locale».
Le Chiese invitano tutti i cristiani alla celebrazione
Nelle operazioni di filtro, la polizia consente l’ingresso dalla Porta di Jaffa solo ai pellegrini stranieri, mentre i cristiani palestinesi devono presentarsi alla Porta Nuova. Il quartiere cristiano, con i suoi abitanti, è completamente transennato. Centinaia di poliziotti, giunti per l’occasione da tutto il Paese e senza una formazione sufficiente a comprendere la posta in gioco durante la giornata, tendono a reprimere le aspettative e le frustrazioni della popolazione locale senza troppi riguardi e persino con violenza.
Per Yousef Daher, responsabile del Centro interconfessionale di Gerusalemme, il comunicato ha omesso di dire che la richiesta principale dei cristiani locali non è di entrare nella basilica: «Si tratta di una tradizione vecchia di 800-900 anni (il Patriarcato greco la fa risalire al 328, subito la valorizzazione del Sepolcro in epoca costantiniana – ndr). I cristiani locali sono invitati sul tetto del patriarcato greco. È anche tradizione stazionare nel sagrato della basilica, che può contenere dalle quattro alle cinquemila persone, come mostrano molte foto scattate negli anni precedenti al 1967. Il problema è che la polizia prende il controllo della piazza e tutt’al più permette di rimanervi a poche centinaia di persone. Anche l’accesso al tetto è limitato dal numero crescente di posti di blocco della polizia. Ce ne possono essere quattro o cinque tra Porta Nuova, o Porta di Giaffa, e la basilica».
I responsabili della Chiesa sono consapevoli che non tutto può essere permesso e che l’accesso deve essere regolato per motivi di sicurezza, ma non intendono vedersi privati della partecipazione dei fedeli, dentro e fuori la basilica, con il pretesto della sicurezza. Per dimostrare la loro disapprovazione nei confronti di misure ritenute troppo restrittive, hanno quindi deciso, anziché limitarsi a invitare pochi privilegiati, di invitare tutti i cristiani che desiderano partecipare alla celebrazione. «Lasciamo che le autorità facciano quello che vogliono. Le Chiese praticheranno il loro culto liberamente e in pace», precisa la dichiarazione comune diffusa il 12 aprile.
Da parte sua, Yousef Daher fa notare come restrizioni così drastiche non esistano né per le festività ebraiche né per quelle musulmane e soggiunge: «Meno persone si presentano ai posti di filtro e più viene impedito loro di passare; mentre di fronte a una massa abbiamo già visto revocare le restrizioni».
«Ma ad essere maltrattati ai posti di blocco saremo noi»
L’invito dei religiosi responsabili della basilica, interpretato come una forma di disobbedienza civile, ha avuto ampia eco sui social network e si è diffuso a macchia d’olio. Nel contesto degli attacchi anticristiani che si sono moltiplicati dall’inizio dell’anno, e della sensazione di negligenza delle autorità nel contrastarli, i cristiani intendono «non abbassare la testa». «Siamo stanchi delle umiliazioni che le autorità ci infliggono», commenta un cristiano di nome Tony. Mentre la pagina Facebook «Gerusalemme nel cuore» stigmatizza il fatto che i diritti della comunità cristiana siano continuamente violati, a differenza di quelli di altre religioni. C’è anche chi non nasconde la propria preoccupazione per la violenza della polizia: «Le Chiese non risolvono nulla con il loro invito. Saremo noi ad essere maltrattati ai posti di blocco».
La vista di migliaia di barriere ammassate dalla polizia alla Porta di Giaffa per isolare il quartiere cristiano è impressionante. Le autorità israeliane, per evitare una possibile, ipotetica, catastrofe, si apprestano ad alimentare il senso di frustrazione e, probabilmente, a dare alla comunità internazionale la sensazione di non avere il pieno controllo degli eventi. Di nuovo c’è che la coalizione attualmente al governo di Israele non se ne cura affatto.