«Lo scoutismo è molto sentito, tanto nei Territori Palestinesi quanto in Israele. Nei Territori ci sono più di duecento gruppi, in Israele quasi altrettanti. Vi sono profonde differenze, ma un aspetto che riveste grande rilevanza per tutti è quello del servizio». Al telefono da Bergamo, Andrea Gualazzi, referente per la Pattuglia Terra Santa dell’Associazione guide e scouts cattolici italiani (Agesci), fornisce alcune chiavi di lettura del quadro attuale. Continua: «Per citare solo un esempio: nel 2022, durante il Ramadan più di 1.250 scout palestinesi, musulmani e cristiani, hanno gestito il servizio d’ordine per i fedeli musulmani alla Spianata delle moschee e nei principali luoghi santi di Gerusalemme. Un fatto che, personalmente, mi ha colpito».
Un ponte di relazioni
Da oltre vent’anni Andrea accompagna gruppi di scout italiani tra i diciotto e i ventun anni – chiamati clan – a conoscere entrambi i popoli. La Pattuglia Terra Santa è nata nel 2000, da persone che, per motivi diversi, si erano recate in viaggio in quella terra. Oggi è composta da una quindicina di membri, distribuiti perlopiù tra Milano, Bergamo e alcune città del Veneto.
«È un gruppo eterogeneo – precisa Andrea – formato da scout laici e religiosi. È nato con l’obiettivo di essere ponte tra due Paesi in perenne conflitto e di offrire uno spazio “altro”, di pace, qui in Italia». Tra i progetti, oltre all’accompagnamento di viaggi, vi sono scambi che portano in Italia giovani ebrei e palestinesi per svolgere attività di tipo scout, ma non solo. «L’obiettivo di fondo è quello di tenere vivo un legame, un collegamento, anche con altre realtà locali interessanti da conoscere e sostenere per i ragazzi italiani», conclude.
Tra svago e attività quotidiana
Andrea illustra una prima, fondamentale differenza tra lo scoutismo nei Territori Palestinesi e quello in Israele. Nel mondo arabo il movimento scout è un retaggio del colonialismo britannico. In Palestina fu portato dagli inglesi durante il loro Mandato (1920-1948), «per questo si dà grande rilevanza all’aspetto delle bande musicali, del marciare, delle cerimonie». In Israele, invece, data la provenienza di molte famiglie da Paesi europei, le tipologie di attività sono più simili alle nostre: «Si trascorre molto tempo all’aria aperta, dedicando largo spazio all’avventura, lo scouting, il servizio».
Inoltre, mentre in Italia l’attività scout è un momento principalmente di gioco, nei Territori è parte integrante della vita quotidiana. È proposta infatti all’interno di diverse scuole cristiane, frequentate anche da musulmani. «Nella nostra esperienza, in ambito scout palestinese abbiamo sempre assistito a una dinamica di apertura tra mondo cristiano e musulmano», aggiunge Andrea.
Gli scout palestinesi
La Pattuglia Terra Santa collabora in particolare con i gruppi di Betlemme, Gerusalemme e Gerico. Raggiungiamo al telefono a Betlemme George Carlos Canawati, capo e formatore del gruppo Terra Sancta, uno di quelli con cui la Pattuglia collabora da diversi anni. George è palestinese, cattolico, è negli scout da quando aveva dodici anni e ora ne ha trentanove. È giornalista e direttore di Radio Bethlehem 2000. Quando gli chiediamo una “fotogafia” dello scoutismo nella sua terra, accetta con entusiasmo.
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Da lui scopriamo che gli scout in Palestina oggi sono tra i 10 e i 15mila, distribuiti in varie parti dei Territori. I gruppi cattolici sono una decina (due dei quali a Betlemme), tutti legati all’Associazione San Giovanni Battista. Gli altri sono misti: vi fanno parte ragazzi musulmani e cristiani, cattolici e ortodossi.
Le attività si tengono spesso presso la sede di ciascun gruppo e terminano con il campo estivo. Rispetto a quest’ultimo, George puntualizza: «A volte riceviamo inviti da altri Paesi e facciamo del nostro meglio per cercare di partecipare a questi campi, ma a causa delle cattive condizioni economiche, e delle circostanze, spesso non siamo in grado di farlo. Ciascuno dei nostri ragazzi sogna un’opportunità del genere».
Domandiamo, infine, quali siano i problemi maggiori: «Senza dubbio, in primo luogo il finanziamento per le attività. Quindi le barriere, di vari tipi, dovute all’occupazione [israeliana], e all’impossibilità di muoversi liberamente tra i governatorati della Palestina».
Gli Zofim in Israele
Da Gerusalemme – a pochi chilometri da Betlemme – il ventisettenne Michael Sierra risponde alle nostre stesse domande su come è vissuto lo scoutismo al di là del muro di separazione. Michael è israeliano e parla perfettamente italiano perché figlio di italiani. Dai dodici ai diciott’anni ha fatto parte degli Zofim, il movimento scoutistico israeliano. «Da noi» – premette Michael – «gli Zofim vanno dai nove ai diciotto anni. A quell’età infatti i giovani iniziano il servizio militare, quindi l’università».
Vi sono tra gli 80 e i 100mila scout su tutto il territorio nazionale. «Il nostro è un movimento apolitico, non è affiliato a nessun partito, ma funziona secondo i principi generali dello scoutismo di Baden Powell», continua. «È molto simile allo scoutismo del resto del mondo, ma senza l’orientamento religioso. Da noi è un movimento principalmente laico: ci sono alcuni gruppi religiosi, ma rappresentano la minoranza. Ogni gruppo è misto, composto da ragazzi e ragazze. Abbiamo inoltre gruppi formati (in tutto o in parte) da giovani con bisogni speciali, autistici o con altri problemi o invalidità. È un aspetto, a mio avviso, molto bello».
Ogni attività un valore
Chiediamo anche a Michael come vengano strutturate le attività. «Durante l’anno, sono due alla settimana, in genere il martedì e il venerdì. I ragazzi più grandi – li chiamiamo guide – propongono giochi e attività per i più piccoli». Ogni momento è incentrato su un singolo valore: ad esempio quello della pace, l’uguaglianza o l’aiuto agli altri. «Vorrei sottolineare la questione del sionismo», dice Michael, «che è anch’esso un valore. Si cerca di insegnare ai ragazzi a essere sionisti, cioè ad aiutare lo sviluppo dello Stato d’Israele».
Tra i temi affrontati c’è anche quello della convivenza, con incontri tra scout arabi e israeliani, «però dipende molto da ciascun gruppo e dalle circostanze del momento», aggiunge.
Ogni anno, un unico campo estivo riunisce tutti i gruppi dall’intero Paese («Si sceglie una foresta molto grande, ad esempio quella di Limonim, a nord-ovest del lago di Galilea, e lì ci si ritrova tutti»). Nelle gite durante l’anno, invece, di solito si esce dalla città: «Le mete sono diverse: Israele è piccola e l’abbiamo esplorata tutta!», conclude.
Cogliere la complessità
Torniamo infine in Italia, ad Andrea Gualazzi, per qualche dettaglio in più sulla proposta offerta dalla Pattuglia Terra Santa, che mette a disposizione due o tre persone del suo staff per accompagnare, tra luglio e agosto, le route di clan interessati a un’esperienza tra Israele e Palestina. Percorsi a piedi si alternano a visite e incontri con realtà cristiane, musulmane ed ebraiche.
«L’idea è quella di invitare i ragazzi a cogliere tutte le sfaccettature e sfumature che caratterizzano quella terra», racconta Andrea. «Visitiamo i campi profughi di Nablus, ma anche la comunità cristiana di Taybeh, o la piccola comunità degli ebrei di fede cattolica. Trascorriamo una giornata in un kibbutz, e passiamo il check point di Betlemme a piedi… Capita spesso che gli scout israeliani si presentino agli incontri con a tracolla il fucile, e raccontino del servizio militare. O che gli scout palestinesi ci parlino della loro impossibilità di uscire dai Territori. O, ancora, che droni israeliani ci passino sopra la testa mentre siamo ospiti di una comunità beduina nel deserto. I ragazzi ci riflettono su, elaborano quanto visto».
Incontro alle persone
In genere, si parte dal nord d’Israele, dalle zone verso il Libano, e si scende a Nablus, Gerico, Gerusalemme, Betlemme, fino a trascorrere una notte nel deserto.
Tra le tappe finali, spesso c’è quella del Villaggio di Neve Shalom Wahat al Salam, l’“Oasi di pace” in Israele in cui convivono famiglie ebree e palestinesi di cittadinanza israeliana. «Visitare il Villaggio ci aiuta a “fare sintesi” e rielaborare. Ciò che ci sta a cuore – sottolinea Andrea – è incontrare le persone che abitano quella terra, così difficile e insieme meravigliosa. Dare avvio a una ricerca, dal punto di vista umano e spirituale. Se si sposta il focus su un piano comune di valori, come può essere quello dello scoutismo, si arriva a capire che, insieme, si possono far nascere cose anche molto belle».
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